Il dolce abbraccio della neve in montagna
Francesco Filippini è un bambino povero, figlio di un falegname e di un’operaia. I suoi non possono permettersi il lusso di mandarlo a scuola, così il ragazzo va a fare il garzone in una pasticceria, ma a tredici è già un eccellente disegnatore.
Autodidatta
Con pezzetti di carbone di legna realizza su carta alimentare i ritratti dei titolari dell’attività. Vista la sua bella scrittura trova impiego presso un notaio. Poi qualcuno si accorge del suo talento e lo avvia agli studi all’Accademia di pittura della Pinacoteca Tosio Martinengo.
Nel 1870 non riesce a ottenere il Premio Brozzoni, la borsa di studio che aveva ricevuto per due anni, di solito assegnata a giovani artisti meritevoli: il quadro che presenta (Fulvia che svela a Cicerone la congiura di Catilina) piace alla commissione come esecuzione, ma non come ambientazione. Anche quando sei bravo trovi qualcuno che critica ciò che fai.
Francesco ci rimane male e smette di dipingere per qualche anno. Nel 1875 si trasferisce a Milano e inizia a frequentare l’Accademia di Brera e l’ambiente della Scapigliatura milanese, conosce altri artisti e comincia a essere apprezzato. Per guadagnare qualche soldo dà lezioni di pittura in collegi e case private. Anche quando sei bravo non è che tutti ti fanno ponti d’oro.
Il dipinto «La nevicata»
Dipinge donne e uomini dediti a lavori umili e appena può va in montagna. Gli piace stare a Gardone Valtrompia da suo fratello. Lì realizza paesaggi. «La nevicata», esposto alla Gam (galleria d’arte moderna) di Milano, riassume il concetto di vita essenziale e riflessiva, sottolineato dalla neve, che attutisce i suoni e definisce la geometria dei semplici tetti spioventi delle case. Facile immaginare Francesco che, fuori al freddo, fa uno schizzo che completerà al caldo della stufa o del camino.
Tutto è naturale, realistico: le persone, suggerite con pochi tratti di colore, la strada con i segni dei carri, i pezzi di muro, l’aria, gli alberi. Ti viene voglia di entrare nella scena, di goderti l’atmosfera sospesa della neve in un paesino d’altura perso nello spazio-tempo. Bianco su nero, chiaro su scuro, cielo su terra.
Francesco descrive ciò che vede non con l’approccio trasfigurato del sogno, ma con lo sguardo del vero, che per noi osservatori infine è sogno, giacché ambienti così pieni di vita e natura non ne vediamo spesso. Eppure la cerchiamo, abbiamo bisogno di lei. Della montagna, della neve, di qualcosa che non sia fatua fuga dal quotidiano, ma ricerca di consapevolezza.
Con poche pennellate Filippini rende luoghi e persone in modo realistico, cogliendo nel contempo la loro anima. Ci immerge nella materia, ci fa sentire i suoi e i nostri passi che avanzano nella neve fresca, ci aiuta a ritrovare ciò che credevamo non esistesse più: la gioia della solitudine, l’eco del silenzio. D’altronde cos’è la realtà se non una variante dell’immaginazione.
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