Yara, Bossetti dall'alcol test all'accusa di omicidio

Il presunto killer si è avvalso della facoltà di non rispondere. Ma per gli inquirenti non c'è dubbio: il dna è il suo.
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Un normale controllo stradale, domenica sera, durante il quale è stato sottoposto al test dell’etilometro: con questo espediente i carabinieri hanno estratto il Dna che è risultato «perfettamente coincidente» con quello trovato sugli slip di Yara Gambirasio. È quello di Massimo Giuseppe Bossetti, 44 anni, padre di tre figli, una sorella gemella, incensurato: è lui - ne sono convinti inquirenti e investigatori che si occupano del caso di Yara Gambirasio - l’Ignoto 1 cui davano la caccia da anni.
 
L’esame del Dna che lo indicava come figlio illegittimo dell’autista di autobus Giuseppe Guerinoni, scomparso nel 1999 e a cui era riconducibile il profilo genetico trovato sugli slip di Yara, sarebbe stata solo l’ultima conferma, perché Bossetti era già stato individuato: apparteneva a quel gruppo di persone che gli investigatori ipotizzavano potessero essere, in qualche modo, coinvolti nel delitto.
 
Erano partiti dal suo cellulare che era rimasto agganciato alla cella della zona di Brembate di Sopra nelle ore di quel 26 novembre del 2010 quando Yara, 13 anni, promessa della ginnastica artistica, era uscita dalla palestra per tornare a casa, distante poche centinaia di metri, e non era mai tornata. Dopo tre mesi di ricerche senza sosta, con tutti i mezzi possibili e centinaia di uomini tra forze dell’ordine e volontari della Protezione civile, il suo corpo fu trovato: il 26 febbraio successivo. Bossetti vive a Mapello, che da Brembate di Sopra dista poco più di un chilometro. È muratore e le indagini si erano in particolare concentrate su chi lavorava nel mondo dell’edilizia: questo a causa delle polveri di calce trovate sul corpo e, soprattutto, nelle vie respiratorie di Yara.
 
Poi c’è stata l’estrazione del Dna e decine di migliaia di comparazioni che avevano portato a Guerinoni. Da qui si erano cominciate a studiare le sue relazioni. Sono state sentite decine di testimoni, senza trascurare nemmeno la più flebile voce di paese e aveva cominciato a restringersi il cerchio delle donne con cui poteva aver avuto una storia. Alla fine l’hanno trovata e da lei sono arrivati a Bossetti, che i carabinieri del Ros hanno prelevato nel pomeriggio in un cantiere di Dalmine in cui stava lavorando. Davanti al pm Letizia Ruggeri, che l’ha interrogato nella caserma dei carabinieri di Bergamo, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Però ha premesso: «Sono sereno». Di fatto respingendo le accuse.
 
Quando il corteo di vetture con a bordo Bossetti è uscito dalla caserma per portarlo in carcere ci sono stati applausi e incitamenti ai carabinieri. Le decine di persone radunate davanti alla caserma, quando l’uomo è stato portato via, hanno urlato: «assassino» e «devi morire». Il suo avvocato, Silvia Gazzetti, nominato d’ufficio, ha solo precisato che «l’accusa è in relazione all’omicidio di Yara Gambirasio». Non sa ancora quando dovrà presentarsi per l’udienza di convalida del fermo davanti al gip. E, soprattutto, dovrà chiarire riguardo alla presenza del suo Dna sul cadavere di Yara.
 
Dalle analisi scientifiche svolte da esperti di genetica è risultato, infatti, «altissimo, al punto da non lasciare dubbi», il dato di compatibilità che indica in Bossetti il soggetto che ha lasciato il proprio materiale biologico sul cadavere della ragazzina. Adempimenti finali - dicono gli investigatori - per affermare definitivamente che quella mano omicida non veniva da lontano (come qualcuno ipotizzò, tanto che il marocchino Mohamed Fikri fu fermato e per oltre due anni rimase sulla graticola in attesa di un’archiviazione dall’accusa di omicidio), ma era «dietro l’angolo» e ha vissuto per oltre quattro anni tenendo dentro di sè e con i suoi famigliari il terribile segreto. 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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