Violenza su infermieri e operatori sanitari: un'aggressione fisica ogni tre giorni

Dato sottostimato: i casi sommersi non denunciati si pensa siano oltre duemila all’anno solo nel Bresciano
VIOLENZA SU OPERATORI SANITARI
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Ogni tre giorni viene denunciato un infortunio sul lavoro causato da aggressioni fisiche nei luoghi di cura e di assistenza. Vittime delle violenze sono operatori che nel 46% dei casi sono impegnati nell’assistenza sanitaria, nel 28% nei servizi di assistenza sociale residenziale e nel 26% in quella sociale non residenziale. In tre casi su quattro sono donne. Più nel dettaglio, il 64% delle aggressioni fisiche sul lavoro avviene negli ospedali e nelle Case di cura.

Incrocio

Il quadro emerge incrociando i dati Inail, l’Istituto che si occupa di infortuni sul lavoro, con quelli del Servisio Psal (Prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro) dell’Agenzia di tutela della Salute di Brescia. Sono, tuttavia, dati per difetto perché - come denunciato dalla Federazione nazionale ordini professioni infermieristiche - i casi sommersi di violenze, mai denunciati, sono in costante crescita: 120mila a livello nazionale quelli stimati, oltre 2.200 solo nel Bresciano. L’occasione per accendere i riflettori su un fenomeno diffuso è data dalla Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitarie sociosanitari di cui oggi ricorre la seconda edizione. Si celebra nello stesso giorno della Giornata europea promossa dal Consiglio degli ordini dei medici europei.

L’analisi dei dati

Dall’analisi della Consulenza statistico attuariale Inail emerge che il 37% delle aggressioni è concentrato nel settore assistenza sanitaria, che include ospedali, case di cura, istituti, cliniche e policlinici universitari; il 33% nei servizi di assistenza sociale residenziale, ovvero case di riposo, strutture di assistenza infermieristica e centri di accoglienza; il restante 30% ricade nel comparto dell’assistenza sociale non residenziale. Il 71% ha riguardato le donne, mentre per entrambi i generi si rileva che il 23% dei casi interessa gli operatori sanitari fino a 34 anni, il 39% quelli da 35 a 49 anni, il 37% da 50 a 64 anni e l’1% oltre i 64 anni.

Infermieri ed educatori

Oltre un terzo riguarda infermieri ed educatori professionali. La professione più colpita è quella dei tecnici della salute, in cui si concentra più di un terzo dei casi. Si tratta prevalentemente di infermieri, ma anche di educatori professionali, normalmente impegnati in servizi educativi e riabilitativi con minori, tossicodipendenti, alcolisti, carcerati, disabili, pazienti psichiatrici e anziani all’interno di strutture sanitarie o socio-educative. Seguono, con il 29% dei casi, gli operatori socio-sanitari delle professioni qualificate nei servizi sanitari e sociali e, con il 16%, le professioni qualificate nei servizi personali e assimilati, soprattutto operatori socioassistenziali e assistenti-accompagnatori per persone con disabilità. Più distaccata, con il 3% dei casi di aggressione ai danni del personale sanitario, la categoria dei medici, che non include però nell’obbligo assicurativo Inail i medici di medicina generale e i liberi professionisti.

Il sommerso

Una rilevazione effettuata da otto università, capofila Genova, dalla Fnopi, Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche, effettuata sugli infermieri che hanno subito violenze fisiche o verbali, mette in luce che, rispetto ai circa cinquemila casi denunciati in un anno a livello nazionale, ce ne sono 26 volte di più, circa 125mila non registrati. «Ancora più grave - si legge nella nota della Fnopi - è che per il 75% sono violenze che coinvolgono donne e che nel 40% circa dei casi si è trattato di violenze fisiche. Vere e proprie aggressioni che hanno lasciato il segno: il 33% delle vittime è caduto in situazioni di esaurimento e il 10,8% presenta danni permanenti a livello fisico e psicologico».

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