Vescovo da un anno? «Voglio far rinascere la fede nei giovani»

Monsignor Pierantonio Tremolada, vescovo di Brescia, traccia un bilancio del suo primo anno alla guida della Diocesi
INCONTRO CON IL VESCOVO
AA

L’8 ottobre 2017 ha fatto il suo ingresso in Diocesi. Da un anno mons. Pierantonio Tremolada è il nostro Vescovo. Fin da subito ha dichiarato di voler incontrare i volti dei bresciani per far sentire a tutti la carica positiva dell’esistenza. In dodici mesi non è stato praticamente mai fermo, ha già interagito con migliaia di persone. E non ha certo intenzione di fermarsi. La prossima settimana, il 14 ottobre, quando papa Francesco proclamerà santo Paolo VI, toccherà al vescovo Tremolada rappresentare la terra natale di Giovanni Battista Montini sull’altare di piazza San Pietro. Certamente una grande gioia per colui che più volte ha ribadito di rifarsi «allo straordinario magistero di Paolo VI».

Per celebrare la canonizzazione di Paolo VI, lei ha scelto di dedicare la sua prima lettera pastorale alla santità. Ma cosa significa oggi essere santi? In una società così secolarizzata non rischia di apparire come un obiettivo impossibile?

«Mi rendo conto che la parola santità possa suonare lontana. Una parola che addirittura potrebbe creare una difficoltà, una distanza. Mi rendo conto che potrebbe anche apparire come un limite. Perché se in molti la santità suscita stima e rispetto, per altri il sentimento potrebbe essere quello del disagio. Se la santità è una perfezione inarrivabile ci si sente soltanto giudicati. Ovviamente così non è. La santità riguarda ciascuno di noi. La santità è la vita nella sua forma più bella. Come titolo della mia lettera pastorale ho "Il bello del vivere. La santità dei volti e i volti della santità". Quelli delle persone che incontriamo ogni giorno nel nostro cammino sono i volti della santità, perché la santità è per tutti, perché a essa tutti siamo chiamati. La santità quindi non come un tema da trattare o un argomento da illustrare, ma come l’orizzonte nel quale collocarci. La santità vorrebbe essere la prospettiva nella quale camminare insieme come Chiesa, il fine cui tendere e insieme lo spazio vitale in cui muoverci».

Esattamente un anno fa lei faceva il suo ingresso in diocesi, è quindi tempo di tracciare un primo bilancio. Quali sono le sue impressioni?

«È stato un anno di grazia, un anno molto intenso. Ho trovato fin da subito accoglienza e rispetto. La figura del vescovo ha una grande considerazione anche a livello civile. La gente bresciana dà il giusto valore alle cose ed ha un rapporto franco con la vita. Nei confronti della Chiesa non c’è clericalismo ma affetto sincero».

Fin dal suo arrivo lei ha detto di voler incontrare i volti, e di volti ne ha conosciuti moltissimi. Cosa pensa dei bresciani?

«Effettivamente ho incontrato centinaia di persone. Fin da subito sono voluto partire alla conoscenza della mia nuova diocesi, nelle varie parrocchie ho parlato certo con i sacerdoti ma anche con i fedeli, lo stesso sto facendo per la presentazione della mia prima lettera pastorale. Per quanto riguarda i bresciani, mi ha colpito la vostra laboriosità e discrezione. Ho trovato una profonda passione per il fare bene le cose, non solo: in tutto quello che viene fatto c’è tanto cuore, tanta passione. I bresciani possono apparire distaccati, ma non è così. Prima ti studiano con attenzione, poi si affezionano».

Lei ha avviato una vera e propria rivoluzione della curia, ha creato dei vicari con competenze nuove, ha creato una sua squadra un po’ come ha fatto papa Francesco con il consiglio ristretto dei cardinali. Ha dichiarato di voler meno preti negli uffici per averne un numero maggiore a servizio della pastorale nelle parrocchie. Come per tutte le rivoluzioni, non sono certo mancati i malumori. È soddisfatto di quanto fatto finora?

«Le decisioni prese sono state indubbiamente rilevanti. Ma devo ammettere di aver trovato nei sacerdoti bresciani grande disponibilità. Anche perché fin da subito ho deciso di muovermi lungo una strada ben precisa, ossia quella della sinodalità: prendere decisioni insieme. Ritengo che le novità siano state opportune ed efficaci, certamente continuare su questo percorso».

Tra i temi aperti c’è la comunione ai divorziati, se n’è parlato anche al recente convegno del clero. L’Amoris laetitia ha creato grandi aspettative, a quando la decisione della diocesi?

«Moltissimi parlano dell’Amoris laetitia senza averla letta, purtroppo ci si affida troppo spesso a interpretazioni semplicistiche (e sbagliate) fatte da altri. L’Amoris laetitia è un testo sulla pastorale familiare, e invece cos’è accaduto? Che i più pensano sia un testo sulla comunione ai divorziati. Non è così: l’esortazione apostolica è un testo sulla famiglia. Sulla comunione ai divorziati voglio precisare una questione. Il punto non è si può o no. Il papa è molto preciso: si deve avviare un discernimento, valutare l’esperienza delle singole persone. Persone che vanno aiutate e accompagnate, l’esito dipenderà poi dal cammino che si è fatto».

I dati ci dicono che anche da noi la presenza alle messe è in linea con il dato nazionale, ossia circa il 12% dei bresciani frequenta le celebrazioni e la vita delle parrocchie. La fiamma della fede si sta spegnendo anche nella cattolica Brescia?

«Certamente no. La società è indubbiamente secolarizzata, ma c’è ancora un buono spazio per la fede. Questo è molto più vero tra gli anziani e tra le persone di una certa età, in queste fasce ho trovato un attaccamento profondo e sincero per la Chiesa. Lo stesso, purtroppo, non si può dire per i giovani. Questa è la nostra sfida più grande, ci siamo messi in ascolto, in dialogo con i ragazzi. Non lo abbiamo fatto in modo partenalistico, ma cercando di coinvolgerli. Sarà un percorso lungo, ma io spero nei buoni risultati».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Condividi l'articolo

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato