Usura, estorsione e fatture false: chi sono gli arrestati
Da una parte i reati di usura, estorsione e riciclaggio, dall’altra le fatture false. Con il metodo mafioso costante presenza in ogni attività. È quanto emerge dall’inchiesta «Atto Finale» della Procura distrettuale antimafia di Brescia, che ha portato in carcere 14 persone con gli arresti eseguiti all’alba da Carabinieri, Guardia di Finanza e Polizia. Dalla Calabria alla Lombardia. Sono complessivamente 67 gli indagati, tra cui imprenditori locali che hanno usufruito di false fatture. Quattro invece gli imprenditori vittime.
Le custodie cautelari
Alla luce di tre diverse ordinanze di custodia cautelare, sono finiti in cella i calabresi Vincenzo Facchineri, il cugino Giuseppe Facchineri, Francesco Scullino che al momento dei fatti contestati era agli arresti domiciliari a Desenzano del Garda, i milanesi Francesco Scalise e Salvatore Muià, il pugliese Massimiliano Bisci, il romano Nicola Bonelli, il siciliano residente a Brescia Vincenzo Caia, il calabrese residente a Bergamo Roberto Franzè, Florin Ionescu, Raffaele Maffettone, napoletano di nascita ma di casa nel Bresciano, il calabrese residente in provincia di Brescia Rocco Zerbonia, Giuseppe Gentile, anche lui calabrese, e Stefano Bresciani nato e residente a Brescia. Disposti i domiciliari per Salvatore Carvelli e Leonardo Maria Maffettone.
Oltre a questi, le forze dell’ordine hanno fermato tre persone perché durante le perquisizioni sono emersi centinaia di migliaia di euro in contanti. Tra loro, un commercialista bresciano che aveva 102mila euro nascosti in lavatrice. I fermi sono in attesa di convalida.
La denuncia dell'imprenditore bresciano
Secondo le indagini Gentile e Bresciani «in concorso tra loro minacciavano di morte, con tanto di busta inviata contenente proiettili, una vittima per ottenere il pagamento di una parte delle somme estorte». Sono finiti sotto inchiesta nel dicembre 2020, quando un libero professionista residente nel Bresciano, esasperato e stremato dalle continue minacce e pressioni psicologiche patite, aveva deciso di denunciare le due persone le quali dopo essersi proposte per intermediare un debito economico di 50mila che il bresciano aveva - a causa della crisi legata al Covid - con un imprenditore estraneo all’inchiesta, lo avevano costretto a versare con diversi bonifici a loro favore la somma complessiva di 19.500 euro di interessi oltre ai 45mila euro già consegnati in contanti.
Vincenzo Facchineri
Il primo filone di inchiesta - nel quale il pm Roberta Panico aveva contestato il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, mentre il gip riconosce solo l’aggravante mafiosa - ruota attorno alla figura del calabrese Vincenzo Facchineri, che nell’ordinanza di custodia cautelare viene definito «esponente apicale della cosca della 'ndrangheta Facchineri, tanto da potersi fregiare della dote del Medaglione». L'uomo poteva vantare anche collegamenti con storici esponenti della Banda della Magliana (Antonio Nicoletti figlio di Enrico cassiere della Magliana) e della Mala del Brenta.
Anche in questo caso l’inchiesta nasce dalla denuncia di un imprenditore bresciano, ora residente in Svizzera, che negli anni ’90 aveva collaborato con Vincenzo Facchineri chiedendogli protezione per le presunte richieste estorsive avanzate nei suoi confronti da un ex socio. Protezione che Facchineri avrebbe continuato a farsi pagare anche a distanza di anni, tenendo in scacco il bresciano.
Per il procuratore capo di Brescia Francesco Prete «nel territorio è attiva una struttura di criminalità organizzata che si muove con riserva di violenza. Non usano violenza, ma usano altri metodi. Viene contestata l’aggravante mafiosa perché è sufficiente evocare il casato a cui si appartiene per vincere la resistenza della vittima». «Gli imprenditori si illudono di poter trattare alla pari con i mafiosi - ha concluso Prete -, ma non hanno capito con chi hanno a che fare. Alcuni cercano contatti con pregiudicati e sottovalutano i rischi».
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