Un cetriolo nella lavatrice

Avevo deciso di non piantare i cetrioli. La mia seppur breve esperienza di orticoltore mi ha già consegnato importanti insegnamenti. Il primo: se le formiche decidono di banchettare con le tue piantine di cetrioli ti devi rassegnare, contro quei famelici insetti non c’è niente da fare; quindi quell’anno niente cetrioli. Il secondo: se non ci sono le formiche, e il clima è quello giusto, le tue piantine continueranno a produrre cetrioli al punto che te li sognerai anche di notte;i tuoi parenti serpenti ti ricorderanno a ogni pié sospinto: con tutte quelle piantine, sei il solito esagerato, adesso te li mangi tutti;quindi quell’anno davvero troppi cetrioli.
Confidando in queste premesse, ho fatto il pesce in barile e non ho messo a dimora nemmeno una piantina di cetrioli. Puntuale è arrivata la richiesta: e i cetrioli? Preferirei di no, ho detto timidamente, non ci sono più i cetrioli di una volta. Una scusa sempre valida. Sono stato sconfitto. Su «una volta» non si scherza. Stavo amabilmente chiacchierando di giubbottini mezzo peso con una mia cara amica, quando l’amena conversazione è finita sui tempi andati. Ricordo che da piccola, mi dice, quando mamma (le persone di classe non mettono gli articoli) andava a fare la spesa ci lasciava con la tata. Ho iniziato a interrogarmi: con chi mi lasciava mia mamma? Avrei preferito non saperlo.
Ti mettevo nella lavatrice con la carica dall’alto, mi ha detto la mia genitrice, ti piaceva molto e stavi fermissimo. Nella lavatrice? ho chiesto angosciato. La risposta: ma era spenta. Il sorriso beffardo mentre proferiva queste parole mi ha fatto riflettere. Non solo non ci sono più le mamme di una volta, ma anche quelle di una volta non sempre erano quelle di una volta.
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