Uccisi dai tumori per avere respirato amianto: «Morti evitabili»

Lo scrive il giudice nelle motivazioni sopo aver condannato in ottobre il datore di 2 lavoratori deceduti per tumore
AMIANTO, PER IL GIUDICE "MORTI EVITABILI"
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Morti non sul lavoro, ma per il lavoro. Per quello che hanno respirato in fabbrica. «L'origine del mesotelioma è certamente da ascriversi all'esposizione ad amianto presso la Pasotti legnami» scrive il giudice Vincenzo Nicolazzo parlando dei decessi di Giuseppe Di Fraia, morto il 23 maggio 2012 e di Noè Ghidoni, l'ex presidente del Movimento Cristiano Lavoratori, scomparso l'11 giugno 2015. Entrambi ex dipendenti dell'azienda bresciana, fallita nel 1994, che lavorava legno e aveva prodotto anche le casette prefabbricate utilizzate durante il terremoto in Irpinia.

Il datore di lavoro delle due vittime, Mario Pasotti, è stato condannato il 28 ottobre scorso ad un anno e quattro mesi e ora sono pubbliche le motivazioni della sentenza. Il processo ha fatto luce su vicende lontane negli anni visto che Di Fraia ha lavorato alla Pasotti legnami dal 1981 al 1983 mentre Ghidoni dal 1973 al 1994. «Già a partire dagli anni '30 era nota la pericolosità dell'amianto dal momento che con certezza si conosceva il nesso causale con l'asbestosi» scrive il tribunale che poi aggiunge: «Ad ogni buon conto si deve sottolineare che i fatti di causa si collocano negli '80 dunque in epoca ove, pacificamente, la conoscenza della pericolosità dell’amianto non era più circoscritta alla comunità scientifica, ma ormai patrimonio comune nei settori produttivi ed industriali».

Chi ha lavorato in quello stabilimento tra la città e Rezzato, sentito in aula durante il processo disse: «L'amianto? Dalle tute lo toglievamo con i compressori».

Ghidoni ha lavorato per circa 12 anni direttamente con l’amianto «e - si legge in sentenza - il periodo di latenza tra l’inizio dell’esposizione (primi anni ’80) e la diagnosi di mesotelioma (2015) è compatibile con la genesi professionale della patologia». Nel caso di Di Fraia, fumatore dai 16 ai 51 anni e che nell’autunno del 1980 era stato mandato in Irpinia a montare i prefabbricati a seguito del terremoto lavorando per 12 ore al giorno, «l’esposizione ad amianto ha svolto un ruolo di accelerazione nello sviluppo del carcinoma polmonare». Stando alla sentenza «l'esposizione ad amianto avrebbe potuto essere ridotta adottando tutte le misure di prevenzione e protezione già attuabili dagli anni '70. Con conseguente e significativa riduzione del rischio di malattia e decesso per adenocarcinoma polmonare e mesotelioma pleurico».

In che modo? «Attraverso l'utilizzo di impianti di aspirazione localizzata che captassero le polveri, l’azienda avrebbe poi dovuto assolutamente vietare l'utilizzo dell'aria compressa per la pulizia degli impianti, del corpo e degli abiti e i lavoratori - conclude il giudice - avrebbero dovuto indossare una mascherina ed essere sottoposti ad una formazione mirata, volta a sensibilizzarli sul fatto che stavano utilizzando materiale contenete amianto, dunque pericoloso per la salute».

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