Tra il fango l’impronta dell’impegno dei bresciani per l'Emilia-Romagna
Nel fango solidificatosi a terra, in una crosta di argilla dura e compatta da scultore, restano le impronte dei volontari bresciani. La presenza e l’impegno dei nostri uomini della Colonna Mobile Provinciale della Protezione civile hanno lasciato un segno indelebile nelle popolazioni della Bassa Romagna.
Paesi desolati
«Qui ad oggi l’unica attività che è stata aperta è il parrucchiere. Noi siamo ancora chiusi come tutti gli altri esercenti.
Non c’è un negozio aperto in tutto il paese, non un forno o un macellaio piuttosto che un fabbro. Non troviamo artigiani disposti a lavorare perché tra i comuni dell’Unione della Bassa Romagna tantissimi hanno perso l’azienda, strappata dalla forza delle acque con i mezzi da lavoro resi inutilizzabili dal fango».La vetrina resta sfondata dalla pressione del metro e mezzo d’acqua fuoriuscito dal crollo dell’argine del Santerno: «Non si trovano vetrai o lastre disponibili, dato che tutti i negozi hanno avuto le vetrine sfondate. Qui ho un elettricista di Sant’Agata che lavora da qualche giorno grazie al furgone e all’attrezzatura che gli ha prestato un collega di un’altra zona. Ma è una mosca bianca ed è da solo» spiega il barista 68enne. Sul bancone il preventivo dei danni: 80mila euro.
Addio alle case
Tra i problemi il fenomeno evidente di chi lascia i confini dei comuni alluvionati. «Chi abita in affitto e ha la casa inagibile ha lasciato le case e si è trasferito altrove, lasciando mobili e supellettili al loro destino. Perché pagare un affitto di una casa inagibile? I grandi magazzini offrono il 30% di sconto a chi compera elettrodomestici oppure fanno credito. E il conflitto tra chi non ha nulla sfocia anche nelle tensioni con gli immigrati: vengono a far incetta di viveri e beni di prima necessità consegnati dai volontari senza essere alluvionati». Scene già viste, come quando in piazza durante una diretta nazionale è scoppiata una rissa tra residenti e stranieri davanti ai furgoni portati dalla Lombardia. Scene di disperazione che rivelano tensioni e difficoltà di convivenza acuite nel momento del bisogno.
Gli argini
Intanto, mentre i centri storici perdono famiglie e bambini, inseguendo i servizi dove funzionano (come asili e Grest) sono gli argini ancora danneggiati che preoccupano. «Durante la siccità la terra si è seccata e si è spaccata. Poi la piena ha agito con una pressione pazzesca, favorita dagli alberi cresciuti dentro l’alveo del Santerno o del Lamone, che divelti hanno creato uno sbarramento alla piena sui ponti ferroviari. Poi si sono aperti i fontanazzi e gli argini sono crollati. Tuttora si lavora con le ruspe, ma se arrivasse un’altra piena che si fa?».
È la paura diffusa che cogliamo in chi caparbiamente ha deciso di restare e di ricostruire. In effetti, molti dicono che si può fuggire a tutto ma non alla paura. E il timore ora è anche che le istituzioni si dimentichino di chi resta e altri seguano chi ha deciso di trasferirsi. «Qui c’è ancora molto da fare. Servirebbero davvero ancora i bresciani. Il vostro esempio e la vostra preziosa vicinanza. La vostra mano tesa nel bisogno che non ci ha lasciato soli».
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