Tra frànc e palànche sìc ghèi de memória

Il valore dei soldi (da un vocabolario perduto)
Zio Paperone - © www.giornaledibrescia.it
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Da un vecchio portafoglio ammuffito mi è saltata fuori - giorni fa - una lisa banconota da mille lire. Fuori corso. Come fuori corso l’abitudine che a volte c’era - sui piccoli tagli - di scrivere parole d’amore destinate poi a girare di tasca in tasca, di borsa in borsa. Ma fuori corso - con l’arrivo dell’Euro - di fatto è finito anche tutto quel ricco vocabolario col quale il nostro dialetto si riferiva ai soldi.

C’era naturalmente il generico sólcc (nel detto i sólcc risparmiàcc i-è sólcc guadegnàcc), accompagnato da monéda per i conii in metallo, o da quel palànca che prende il nome da una antica moneta spagnola in rame (la blanca). Non manca il filone numerico, col quatrì (che è la moneta da quattro soldi) e col cincù (citato nella canzoncina: finché düra ’ste quàter cincù, stóm sö alégher e mai passiù...). All’epopea napoleonica risalirebbero poi i frànc, mentre gergale è l’evocazione de la pìla: farebbe riferimento ad un gruzzoletto di dischi di metallo (come nell’invenzione di Alessandro Volta) o di pietra (come nei pilastri dell’antico ponte sul Garza di via Porta Pile, in città).

Ma il termine più bello di tutti è ghèi inteso come centesimi o spiccioli. È parente del veneto sghèi ed è la storpiatura del nome che nel Lombardo-Veneto gli austriaci davano alle scheidemünze, le scheide, le monetine in metallo che valevano la più piccola frazione di un soldo (non a caso in bresciano il ghèl è anche il centesimo in lunghezza, cioè il centimetro). Il ghèl sarà poco, ma per chi ha poco è molto. E va speso per le cose importanti. Tipo il colore di una giacca: «Sìc ghèi de pö - è disposto a pagare il parvenu - ma rós».

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