Test sierologici a pagamento per i privati: ecco come funziona
La Lombardia è pronta a dire «sì» ai test sierologici a pagamento nei laboratori privati.
Dopo due rinvii - legati, da un lato, all’attesa delle direttive ministeriali stilate sabato e, dall’altro, alla ricerca di un equilibrio che potesse consentire di non «ingolfare» gli elenchi già predisposti dall’Agenzia di tutela della salute sul fronte tamponi - il via libera ufficiale all’attesa delibera è previsto per la giornata di oggi. Si tratta di disposizioni che, una volta incassato l’imprimatur, saranno operative immediatamente, vale a dire a partire dal giorno successivo: se tutto andrà bene, quindi, da domani. Compatibilmente con la disponibilità dei kit dei singoli laboratori.
L’iter da seguire. I dettagli saranno illustrati soltanto oggi, ma più di qualche indicazione è già certa e si può anticipare. A partire dal metodo: nei laboratori privati di microbiologia e virologia (o accreditati e a contratto con il sistema sanitario regionale) si potranno eseguire sia i test con prelievo del sangue (metodica Clia o Elisa) sia quelli rapidi (le cosiddette «saponette»), purché certificati.
La tariffa, trattandosi di libero mercato, viene decisa autonomamente, ma - e qui c’è la prima novità rispetto alla bozza di delibera iniziale, sulla quale la Giunta guidata da Attilio Fontana si è confrontata la scorsa settimana - anche la Lombardia stabilirà un tetto massimo sul fronte dei costi: i test non potranno costare oltre i 60 o 70 euro. Non solo. L’azienda che decide di sottoporre al test sierologico i propri dipendenti dovrà farsi carico anche di effettuare i tamponi eventualmente necessari.
Questo perché, lo ricordiamo, i test sierologici rivelano la sola presenza di anticorpi, condizione che non garantisce di capire se la persona sia, seppur asintomatica, ancora contagiosa oppure no. L’unico strumento diagnostico era e resta il tampone, che consente invece di capire se si è positivi al Covid-19.
Tutti coloro che si sottoporranno al prelievo di sangue (acconsentendo a svolgere il test sierologico: l’adesione, va ricordato, è su base volontaria) e che risulteranno positivi dovranno quindi poi effettuare necessariamente anche il tampone. E in entrambi i casi sarà l’azienda che sceglie di aderire allo screening a dover garantire il «kit completo», sempre attraverso i laboratori privati accreditati.
Si tratta, quest’ultimo, di un punto focale della delibera per almeno due ragioni: in primis si eviterà di pesare sul lavoro in corso di Ats, già alle prese con i controlli sulla platea della quarantena. E, in seconda battuta, l’iter individuato permetterà alle aziende stesse di accelerare le procedure, scongiurando così che i lavoratori rischino di dover attendere il proprio turno per il tampone per settimane intere.
Dal prelievo all’esito. Come si dovrà comportare la ditta che decide di sottoporre i dipendenti al test? Innanzitutto dovrà comunicarlo all’Ats, specificando una serie di informazioni tra cui il laboratorio prescelto, il medico responsabile, il numero di lavoratori coinvolti. Quindi, deve dimostrare di aver acquisito, oltre ai kit sierologici, anche una quota parte di tamponi pari almeno al 10% rispetto al numero delle persone che partecipano allo screening. Sarà il medico responsabile a dover vegliare sulla correttezza del metodo da seguire. Le aziende possono cercare anche produttori fuori dalla Regione, a condizione che il laboratorio di riferimento sia inserito nell’elenco del Ministero della Salute.
In sostanza, se l’esito del test sierologico è positivo (tradotto: rileva la presenza di anticorpi) va comunicato all’Ats di residenza e si deve stare in isolamento fino all’esecuzione del tampone nasofaringeo. Qualora quest’ultimo fosse negativo si potrà tornare al lavoro. In caso contrario l’iter ricalcherà quello già in vigore: si sarà segnalati sulla piattaforma telematica come nuovo caso Covid e scatterà la quarantena obbligatoria per l’interessato, mentre i contatti stretti saranno posti in isolamento fiduciario. Il metodo.
Potranno accedere all’esame anche i singoli cittadini? La risposta è sì. Secondo le prime indiscrezioni trapelate, l’unica condizione che la Lombardia porrà in questo senso, sarà l’utilizzo - da parte dei laboratori autorizzati a sottoporre alle analisi chi lo desidera - di test certificati. La linea adottata dalla Lombardia utilizza come «base» la delibera adottata dall’Emilia Romagna, arricchendola di alcune «rifiniture», modulate sulle linee di indirizzo fornite dal Ministero.
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