Teresio Olivelli sarà Beato

Il pavese «difensore dei deboli» si formò all'oratorio della Pace con padre Manziana e padre Cittadini
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Teresio Olivelli sarà Beato. È arrivata l’autorizzazione del Papa, la Congregazione delle Cause dei Santi può promulgare il decreto in cui si riconosce il martirio. Il lungo iter s’è dunque concluso, resta solo da stabilire la data del rito di beatificazione, che sarà celebrato nella diocesi di Vigevano, da dove è stata promossa la causa. Il «difensore dei deboli», l’uomo che antepose il Vangelo ad ogni logica umana e ad ogni ideologia, ucciso a soli 29 anni nel lager nazista di Hersbruck, sarà dunque elevato alla gloria degli altari.
E' una notizia attesa anche a Brescia, dove Teresio Olivelli, nativo di Bellagio e sin da bambino trasferito a Mortara, nel Pavese, fu attivo a seguito della sua decisione di operare nella Resistenza, dettata soprattutto da motivi religiosi, per fedeltà al Vangelo e rifiuto di ideologie anticristiane. Fu infatti il bresciano Romeo Crippa, esponente dell’Azione Cattolica e suo compagno al collegio Ghislieri di Pavia, ad informarlo che l’attività resistenziale a Brescia era animata dai padri dell’Oratorio della Pace in una prospettiva cristiana: così Olivelli si inserì in quell’ambiente, fu in contatto specialmente con padre Manziana e padre Cittadini e, trasferitosi a Milano, mantenne contatti tra il Cln e le Fiamme Verdi.
Non partecipò ad azioni violente, ma lottò con le idee ed i gesti di solidarietà. Fondò il giornale «Il Ribelle» per diffondere la rivolta dello spirito contro la violenza e per la libertà, «per risvegliare - come spiega il postulatore della causa, mons. Paolo Rizzi - le coscienze sottomesse verso una riaffermazione nuova, di novità evangelica, della dignità umana».

Ciò che porta Teresio Olivelli agli onori degli altari è il martirio, che non è un accadimento improvviso, bensì l’epilogo di un intenso cammino di fede. Attivo sin da giovane nell’Azione Cattolica, poi nella Fuci (Federazione universitaria cattolici italiani), si dedicò a numerose opere caritative a favore di poveri, malati ed anziani. Laureato in Giurisprudenza, cominciò a lavorare come assistente alla cattedra di Diritto amministrativo all’Università di Torino, aderendo al fascismo per ragioni prevalentemente spirituali: pensava che nella dottrina fascista ci fossero elementi compatibili col cristianesimo ed in buona fede cercò di realizzare una cristianizzazione del fascismo. Ma presto capì che non era possibile.
Dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale si offrì volontario per il fronte russo. Partecipò a quella tragica campagna come sottotenente alpino della Divisione Tridentina, confortando, pregando e facendo pregare, soccorrendo i feriti nella ritirata. Rientrato, nel ’43 fu nominato rettore del collegio Ghislieri di Pavia, abbandonando di fatto ogni rapporto col fascismo. Dopo l’8 settembre rifiutò di collaborare con i nazifascisti. Fu arrestato una prima volta, poi una seconda il 27 aprile ’44, non solo perché esponente della Resistenza, ma soprattutto perché era un cattolico di primo piano impegnato a diffondere i valori dell’umanesimo cristiano.
Dal carcere di San Vittore fu portato al campo di concentramento di Fossoli, poi nei lager di Bolzano-Gries, Flossenbürg ed Hersbruck. Odiato e picchiato dai nazisti, lui organizzava letture del Vangelo e lezioni di catechismo, curava i malati e assisteva i più deboli, donando anche la sua scarsa razione di cibo. Il 17 gennaio ’45 si interpose fra un kapò e un giovane brutalmente pestato, rimediando un calcio che lo uccise: il martirio oggi riconosciuto dal Papa. 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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