Suicidi in carcere, c'è un nuovo piano regionale per la prevenzione
Presa in carico del detenuto, monitoraggio costante attraverso l'apporto di uno staff multidisciplinare e più in generale un'attenzione completa nei confronti di chi si trova in carcere. Va in questa direzione la delibera sull'aggiornamento del piano regionale per la prevenzione dei suicidi negli istituti penitenziari per adulti, approvata oggi dalla giunta regionale lombarda.
Le carceri lombarde
In regione ci sono 18 istituti penitenziari - sono 190 a livello nazionale - in cui si concentra il maggior numero di detenuti del Paese. Sono a Bergamo, Brescia, Busto Arsizio, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Mantova, Milano Bollate, Milano San Vittore, Monza, Pavia, Sondrio, Varese, Vigevano, Voghera, Brescia Verziano, Milano Opera.
Il piano, come ha spiegato la vicepresidente della Regione Lombardia, Letizia Moratti, si avvale di una «una stretta alleanza tra il mondo penitenziario e quello sanitario per prevenire i suicidi, purtroppo aumentati durante il periodo dell'epidemia», anche a causa delle restrizioni «che hanno reso ancora più afflittivo il momento della carcerazione».
Negli ultimi mesi, anche nel carcere bresciano di Canton Mombello si sono registrati diversi episodi di tensione, che sono sintomo di una situazione molto complessa e delicata, aggravata anche dai problemi di sovraffollamento.
Cosa prevede il protocollo
La valutazione medica «indispensabile» deve essere accompagnata secondo Moratti da una costante attenzione ai comportamenti del detenuto, soprattutto nei momenti più difficili della carcerazione, come l'ingresso nella struttura e l'inizio della vita detentiva. I direttori delle strutture penitenziarie e sanitarie provvederanno a nominare per le rispettive competenze uno staff multidisciplinare composto da rappresentanti del personale penitenziario e sanitario che dovrà predisporre «nel più breve tempo possibile» un programma individualizzato di presa in carico congiunta nel quale saranno indicati ulteriori interventi integrati degli operatori sanitari, di sostegno e di sorveglianza, secondo le necessità determinate dalle problematiche rilevate.«Attraverso il dialogo e il confronto, personale sanitario, penitenziario, psicologi, volontari, ma anche i familiari, gli avvocati difensori e i magistrati - ha concluso Moratti - dovranno essere in grado di cogliere anche il minimo segnale di disagio o campanello d'allarme che possa far pensare a gesti estremi».
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