Strage di piazza Loggia: in cerca degli esecutori materiali dopo 50 anni, 7 inchieste e 32 imputati

La prima e, per ora unica, condanna definitiva solo nel 2017: l’ergastolo a Carlo Maria Maggi e a Maurizio Tramonte
La stele in memoria delle vittime della strage di piazza della Loggia a Brescia - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it
La stele in memoria delle vittime della strage di piazza della Loggia a Brescia - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it
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Il 28 maggio del 2024 è dietro l’angolo, ma 50 anni non sono bastati. Della bomba ci sono i mandanti. Manca ancora il nome di chi la mise nel cestino in piazza Loggia e di chi ha remato contro la giustizia per mezzo secolo.

Per l’esplosione che ha ucciso Giuletta Banzi, Livia Bottardi, Clementina Calzari, Alberto Trebeschi, Euplo Natali, Luigi Pinto, Bartolomeo Talenti e Vittorio Zambarda e ferito altre 102 persone, la giustizia si mette in moto subito e imbocca la pista bresciana grazie alla testimonianza di Luigi Papa.

La pista bresciana

Nell’ambito dell’inchiesta sul furto di un quadro del Romanino, il padre di Angelino e Raffaele dice di aver saputo che Ermanno Buzzi, ladro di opere d’arte noto nell’ambiente della destra estrema, ha messo sei bombe in piazza Loggia. Sviluppando quelle affermazioni, dopo quattro anni di indagine, a processo ci finiscono 16 persone. Il 2 luglio del 1979 dopo 178 udienze, due sole le condanne per strage: quelle di Buzzi (ergastolo) e di Angelino Papa (10 anni e 6 mesi). All’esito di quel processo Ugo Bonati, superteste di Visano sulla cui testimonianza si era basata l’accusa di primo grado, viene indagato per concorso in strage e diventa il diciassettesimo imputato.

Bonati, che nel frattempo sparisce dalla circolazione per non farsi mai più trovare, viene prosciolto il 17 dicembre del 1980. Per il giudice Besson «ha narrato avvenimenti di cui non è stato protagonista e neppure testimone». Il 2 marzo del 1982 la Corte d’assise d’appello assolve anche Buzzi e Angelino Papa. Il primo però è morto da 11 mesi.

Concutelli in aula a Brescia durante il processo per l’omicidio di Ermanno Buzzi - © www.giornaledibrescia.it
Concutelli in aula a Brescia durante il processo per l’omicidio di Ermanno Buzzi - © www.giornaledibrescia.it

È stato ucciso nel carcere di Novara da Massimo Tuti e Pierluigi Concutelli che lo strangolano per impedire che dica quello che sa e gli sfondano gli occhi per far capire a chi sa che è meglio tacere.

Il 30 settembre del 1983, la Cassazione annulla le assoluzioni e rinvia gli atti alla Corte d’assise d’appello di Venezia che il 19 aprile del 1985 assolve di nuovo Angelino Papa, Nando Ferrari, Marco De Amici e Raffaele Papa. Il verdetto diventa definitivo due anni e mezzo dopo.

La pista milanese

Gli imputati per strage diventano 19 il 23 marzo del 1986 all’esito della terza istruttoria, quella sulla «pista milanese», con il rinvio a giudizio di Cesare Ferri e Alessandro Stepanoff. Tre giorni dopo la strage Ferri finisce in prima pagina perché Giancarlo Esposti, esponente del Mar di Fumagalli ucciso nel conflitto a fuoco a Pian del Rascino, ha in tasca una sua foto.

Attraverso quell’immagine il milanese sarà riconosciuto da don Gasparotti. Il parroco di Santa Maria Calchera il 25 giugno si presenta dai carabinieri e dice di aver visto Ferri nella sua chiesa di via Trieste in città, la mattina della strage. A processo la sua testimonianza non regge l’alibi universitario del milanese che, per i giudici, non poteva essere in chiesa a Brescia tra le 8.30 e le 9, e alle 10.12 (l’ora dello scoppio) a lezione in Cattolica a Milano. Il 23 maggio 1987 Ferri e Stepanoff così sono assolti per insufficienza di prove, mentre due anni dopo incassano una «formula piena» in appello, e a settembre dell’87 la conferma definitiva in Cassazione.

Sempre nell’ambito della pista milanese, finiscono imputati anche Fabrizio Zani, Giancarlo Rognoni, Marco Ballan, Marilisa Macchi (che di Ferri è stata moglie) e Luciano Benardelli. E siamo a 24. Il 23 maggio del 1989 il giudice istruttore Gianpaolo Zorzi li proscioglie per non aver commesso il fatto e passa il testimone alla Procura perché approfondisca le veline della «fonte Tritone», al secolo Maurizio Tramonte.

La pista veneta

Carlo Maria Maggi durante il processo per la Strage di piazza Loggia
Carlo Maria Maggi durante il processo per la Strage di piazza Loggia

La quinta istruttoria, quella che permetterà di indicare nel medico veneziano Carlo Maria Maggi il mandante della bomba, parte proprio da qui e inizia nel 1993. Decisiva anche la collaborazione di Carlo Digilio (che morirà nel 2005). I pm Francesco Piantoni e Roberto Di Martino producono un fascicolo di un milione di pagine.

Il 15 maggio del 2008 a giudizio ci finiscono altri sei imputati: Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, Maurizio Tramonte, Francesco Delfino, Pino Rauti e Gianni Maifredi. Il processo inizia a novembre dello stesso anno. Durerà due anni e più di 160 udienze. Si concluderà con l’assoluzione di tutti con formula dubitativa il 16 novembre del 2010.

Due anni e mezzo dopo il verdetto di assoluzione sarà confermato con formula piena, ma la sentenza non supererà indenne il vaglio della Cassazione, che confermerà le assoluzioni di Zorzi e Delfino, per annullare con rinvio quelle di Maggi e Tramonte, tracciando la strada verso la loro condanna. Che arriva il 22 luglio del 2015 in appello a Milano e diventa definitiva il 20 giugno del 2017. Ad ordinare la bomba fu Maggi, capo di Ordine Nuovo del Triveneto. Tramonte non la impedì pur sapendo e collaborando con i servizi segreti.

Oggi

A mancare ora, dopo 50 anni, 7 inchieste e l’imputazione di 32 persone (Zorzi e Toffaloni inclusi), sono i nomi di chi in quel cestino ce la mise e di chi per mezzo secolo ha gettato fumo sulla verità.

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