Strage di Parigi, «le mie lacrime per l'amico Cabu»
Oggi è lutto nazionale in Francia, «colpita al cuore» dall'orribile attentato di matrice islamica avvenuto ieri mattina al giornale satirico Charlie Hebdo. Un'onda di sdegno, solidarietà, vicinanza si è alzata non solo a Parigi. Nelle piazze di tutta Europa, da Berlino a Madrid, da Milano a Bruxelles, sono stata migliaia le persone che hanno manifestato con una matita in mano. Non da meno gli internauti che con lo slogan «Siamo tutti Charlie» hanno tempestato di post le bacheche dei social. E sabato, in città, la Lega annuncia un volantinaggio in solidarietà con le vittime: verranno distribuite le vignette satiriche pubblicate da Charlie Hebdo.
Di seguito l'intervista di Ilaria Rossi a Jean Luc Stote, giornalista e conduttore di Radio Onda d'Urto trapiantato a Brescia che ricorda l'amico Cabu rimasto ucciso ieri.
La riunione del mercoledì. Tutti lì, attorno a un tavolo della redazione di Charlie Hebdo. A chiacchierare di impegno e futilità. E anche mangiare. Una specie di festa da sempre, quel ritrovo a mezza settimana per fare il punto sul lavoro di ognuno.
È stato il primo pensiero di Jean Luc, ieri mattina, quando la televisione ha rimandato le immagini della strage, nella sede parigina del giornale satirico votato alla Libertà. Mercoledì. Il giorno in cui le stanze piene a giorni alterni brulicano di tutti i redattori. Fedeli a una consuetudine che risale agli anni Settanta.
«La riunione è sempre stata il mercoledì», dice. Lo sapevano gli attentatori, come lo sapeva mezza Parigi. Se lo ricorda bene Jean Luc Stote, giornalista e conduttore radiofonico trapiantato a Brescia, che per anni a quelle specie di riunioni-festa c’è andato.
Sedendo accanto a Wolinski e Cabu con il panino, sigarette e matita. «Gli altri giorni c’è meno gente - racconta -, ma il mercoledì sono tutti lì. Quando ho saputo degli spari è stato il primo pensiero. Due ore dopo la radio francese mi ha confermato quello che già sapevo. Ho sperato che almeno uno fosse a casa con l’influenza. Un pensiero sciocco. Alla riunione non è mai mancato nessuno».
L’amicizia fra Jean e Cabu arriva da lontano. «Un legame particolare - rammenta - . Siamo cresciuti nella stessa città. Quando sono stato in carcere, poco meno di due anni per obiezione di coscienza, Cabu mi ha sostenuto coi suoi disegni. Ogni settimana pubblicava su Charlie una striscia, che era una sorta di diario dei miei giorni in prigione».
Quando nasce «La Gueule ouverte», costola di Charlie Hebdo improntata sull’ecologia, Jean è uno dei collaboratori fissi dal 1977 all’82. «Insieme a Cabu - dice -, mentre alla direzione c’era la moglie Isabel. È stato così che ho fatto amicizia anche con il loro figlio Mano Solo. Era un cantautore di talento ed è venuto spesso anche a Brescia. È morto di Aids cinque anni fa. Era il 10 gennaio. Ora è morto anche suo padre. Assassinato».
Non c’erano temi tabù per il Grand Duduche. «Grand Duduche, così lo ricorderemo noi. La satira - ricorda Jean Luc - toccava tutti gli argomenti. Per questo in redazione piovevano almeno cinque denunce a settimana. Eppure non è mai venuta meno la difesa anche di chi non la pensava allo stesso modo».
Jean Luc si è portato lo spirito di Charlie a Brescia, trasfondendolo in quel «Pcb», con cui aveva scelto di battezzare il suo primo programma radiofonico. «Conoscevo - dice - quelli della vecchia generazione, anime di una redazione nata da un gruppo di amici. So che ultimamente si era generato un confronto interno sulle modalità della satira, sui temi e gli orientamenti. Ma ognuno a Charlie poteva avere il suo spazio e ci faceva ciò che voleva. E il dibattito era tutto lì, sulla pagina. Erano uomini liberi e persone di grande talento. C’è chi vorrebbe strumentalizzare la loro morte. Loro, però, non l’avrebbero permesso».
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