Strage Cottarelli, come si arrivò alla pista siciliana
Dopo meno di tre settimane dalla strage di via Zuaboni, gli investigatori imprimono un'accellerazione e chiudono il cerchio attorno ai tre soggetti che da allora sono stati al centro di tutti i gradi di giudizio sortiti da questa incredibile vicenda giudiziaria.
14 settembre 2006: la svolta
Arriva la svolta nelle indagini. Vengono fermati i due cugini Vito e Salvatore Marino, rispettivamente 40 e 46 anni, legati da vincoli di parentela all’omonimo clan mafioso del trapanese. Il padre del primo e zio del secondo, in particolare, Girolamo Marino, noto come «Mommu ‘u nanu», considerato il capomandamento di Paceco (Tp), è stato ucciso in un agguato nel novembre 1986. Una terza persona il cui nome inizialmente non viene diffuso si sa essere coinvolta. Alla base del triplice omicidio un giro di fatture false da 12 milioni di euro.
Una truffa ai danni della Regione Sicilia e del Ministero delle Attività Produttive e a beneficio di una delle aziende agricole facenti capo ai due cugini siciliani. Un giro in cui il ruolo di Cottarelli sarebbe stato quello di garantire proprio l’emissione di fatture gonfiate per spese di fatto mai sostenute. Sulla vicenda aveva aperto un’inchiesta la Procura di Trapani, supportata dalle Fiamme Gialle della provincia siciliana, tanto che il flusso di finanziamenti a fondo perduto era stato bloccato dopo l’erogazione di soli (si fa per dire) otto dei dodici milioni previsti. Quasi un milione di quelli «rimborsati» dallo Stato manca all’appello: per i siciliani è rimasto nelle mani di Cottarelli. E il viaggio a Brescia, strage compresa, deriva dall’intento di riscuotere la somma. I due Marino negano recisamente e oppongono differenti alibi. A condurre a loro, tra i vari elementi, il fatto che la vettura scorta a Urago Mella risulta noleggiata a Linate da Vito Marino.
17 settembre 2006
Emerge il nome del terzo uomo. È Dino Grusovin, 51 anni, detto l’architetto, triestino con un pedigree criminale costellato di truffe in stile «cartiera», produzione di fatture false e affini, che ben s’inquadra con i delicati precedenti di Cottarelli. A breve diviene il grande accusatore. Davanti ai magistrati si ascrive la responsabilità di un sopralluogo a Urago Mella nei pressi della villetta, sulle prime nega la sua presenza durante l’esecuzione, poi l’ammette in cambio di sgravi di pena e protezione. «C’ero, ma non ho ucciso» racconta agli investigatori ai quali racconta di essere una sorta di consulente finanziario dei Marino. E poi ai giudici in sede di incidente probatorio: «Mi ha dato uno schiaffone, mi ha minacciato con la pistola, poi mi ha legato al tavolo ed è sceso con suo cugino Salvatore in taverna» racconta riferendosi chiaramente a Vito Marino. Ai giudici dichiarerà poi che sorte analoga, l’essere legato in cucina, era spettata anche ad un quarto uomo intervenuto per l’incontro d’affari tramutatosi in un blitz omicida.
Il Riesame
È davanti ai giudici del Tribunale di Brescia chiamati a valutare l’istanza di scarcerazione presentata dai legali dei due cugini siciliani che viene offerta (e accolta) la prima articolata ricostruzione dell’accusa. Riporta la cronaca di allora: «Tutto inizia a Milano. È da qui che domenica 27 agosto Grusovin e Vito Marino si incontrano. Da qui, a bordo della Grande Punto (sulla quale la Scientifica troverà più tardi delle tracce di sostanze compatibili con quelle rinvenute sulla pelle di Cottarelli e nei cinque bossoli scoperti nella sua villetta), che i due partono alla volta di Desenzano per incontrare una terza persona. In auto con loro, invece, non c'è Salvatore, che però compie lo stesso tragitto con una Bmw. Da Desenzano i quattro poi si spostano a Brescia: qui Vito Marino utilizza una sim card fornitagli dall'architetto, e intestata ad un prestanome britannico, per chiamare Cottarelli in ufficio e sul cellulare. Attorno alle 22 il gruppo si divide di nuovo: Vito Marino e Grusovin, secondo la ricostruzione, accompagnano la terza persona a Desenzano, mentre Salvatore torna da solo Milano e li attende per la notte. La mattina seguente, quella della strage, la sveglia suona all'alba. Alle 6,30 Vito Marino e Grusovin partono con la Grande Punto. Alle loro spalle, sulla Bmw, c'è Salvatore Marino. Poco meno di un'ora dopo i tre sono al casello dell'A4 per raccogliere una quarta persona. Il campanello di Angelo Cottarelli squilla di lì a pochi minuti, appena prima delle 8.Qualche istante più tardi, a quanto si è appreso, in casa ci sono Vito Marino, lo stesso Grusovin e il terzo uomo. Non Salvatore, almeno per la prima mezz'ora. Cottarelli fa accomodare i tre attorno al tavolo della cucina. Ma l'incontro è presto tutt'altro che conviviale. Vito, infatti, chiede il saldo di una «metà» che gli sarebbe spettata, ma l'imprenditore bresciano tergiversa, gli fa vedere l'esiguo bottino custodito in cassaforte e scatena così la reazione del trapanese. Gli animi a questo punto sono surriscaldati, sulla scena compare Salvatore Marino. «Non ci vuole pagare» lo informa Vito: la situazione si complica ulteriormente. Secondo la ricostruzione, Salvatore spintona Cottarelli scatenando un trambusto che richiama l'attenzione del figlio e della donna dell'imprenditore. Luca e Marzenna scendono dalle loro camere per accorgersi di essere nel posto sbagliato, al momento sbagliato. Poco dopo, «scomodi testimoni», sono in taverna, di fronte alla loro morte. Una pistola puntata alla loro nuca esplode colpi a bruciapelo. Un coltello affonda nella loro gola. La calibro 22 e la lama poi raggiungono anche Angelo Cottarelli che muore per non essere stato ai patti».
18 ottobre 2006: i funerali
Ci vogliono cento giorni perché alle tre vittime venga data sepoltura. Un’attesa sfibrante per Mario Cottarelli, il fratello di Angelo, per Agnese e Yvonne Topor, rispettivamente madre e sorella di Marzenna, e per quanti avevano amato i tre in vita. A commuovere tra il cortile degli Artigianelli, la scuola che frequentava Luca, e la parrocchiale di Urago Mella dove vengono celebrate le esequie, sono le parole commosse degli amici del ragazzo: «...Gesù l'ha voluto con sé perché non si corrompesse tra gli uomini...», «...che noi vivremo a rappresentare anche la tua vita».
Il denaro
Quegli otto milioni pretesi dai cugini di Paceco vengono recuperati per intero dagli inquirenti: sette milioni di euro sono depositati in un conto cifrato di una banca di Lugano. Un altro milione e mezzo in contanti, al netto di assegni e gioielli, giace in una cassetta di sicurezza di una filiale nella nostra provincia.
Il quarto uomo
Resta a lungo avvolta dal mistero la persona, di origini meridionali (il soprannome secondo la versione di Grusovin era «il Pugliese»), che sarebbe stato in via Zuaboni con i cugini Marino e l’«architetto» triestino la mattina del 28 agosto di 15 anni fa. Vantava a sua volta un credito di 70mila euro nei confronti di Cottarelli, ma per gli investigatori non ha avuto ruolo alcuno nella carneficina.
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