Strage Cottarelli, 15 anni di indagini e sentenze: tutte le tappe
Uno dei delitti più efferati della storia bresciana recente, una verità giudiziaria scritta ancora solo in parte, un infinito rimpallo in vari gradi di giudizio, ben dodici per uno dei tre imputati, due dei quali ora condannati in via definitiva.
Di univoco non ha mai avuto neppure un nome nelle cronache: strage di via Zuaboni, strage Cottarelli, strage di Urago Mella. Da quella terribile mattina del 28 agosto 2006 ci separano ormai 15 anni, ma tanti non ne sono bastati per consegnare agli archivi un caso criminale intricato e non privo di colpi di scena, tra fughe, latitanze e blitz internazionali. Sullo sfondo resta una vera e propria carneficina.
Un’intera famiglia distrutta, senza che fosse risparmiato un minorenne. Una istanza di giustizia è stata per anni portata avanti dal fratello di Angelo Cottarelli, Mario, morto tre anni or sono, senza vedere la conclusione dell’iter giudiziario. «Quella tragedia ha consumato mio padre» ebbe a dire il figlio Marco. E la parola fine resta ancora da scrivere. Il 12 ottobre 2021, in un’aula della Corte d’Appello di Milano, verrà scritta una nuova pagina di questa terribile storia, che proviamo a ripercorrere di seguito.
28 agosto 2006
Quell’estate terribile, la reazione della piazza
L’estate burrascosa del 2006 conta nel Bresciano - tra l’11 agosto e il 19 settembre - sette delitti per un totale di 9 vittime: c’è Hina Saleem, la giovane pakistana uccisa da padre e zio a Sarezzo perché voleva vivere all’occidentale, ci sono il pittore Aldo Bresciani ucciso nel suo appartamento di via Solferino dal marocchino Hanine Chafik, poi in ospedale psichiatrico, la giovanissima Elena Lonati uccisa nelle stesse ore dal sacrestano cingalese Chamila nella chiesa di Santa Maria a Mompiano, e ancora il pakistano Muhammad Ilyas, 48enne ucciso nel corso di quella che è ritenuta una rapina di strada in via Bianchi, a ridosso di via San Zeno (unico omicidio irrisolto di quel periodo infernale), e da ultimo l’omicidio-suicidio che sconvolge Cedegolo e segna la fine di una tranquilla coppia di coniugi sessantenni, Francesco Pedretti e Maria Zimatti. In tutti i delitti che precedono la strage Cottarelli, si rivela la mano di uno o più stranieri. Forse anche per questo tra le prime reazioni della piazza, con tanto di manifestazioni indette sulla stessa via Zuaboni, c’è il «dagli all’immigrato». La convinzione di molti è che dietro alla triplice esecuzione si nasconda la criminalità organizzata straniera. Ci vuole un intervento del sindaco di Brescia, allora Adriano Paroli, per smentire l’ipotesi: che i presunti killer siano italiani è il primo elemento sostanziale a trapelare dall’inchiesta.
Le ricerche
Le indagini vengono affidate alla Squadra Mobile della Questura di Brescia, con il supporto degli specialisti del Servizio Centrale Operativo e dell’Ert (Esperti ricerca tracce) della Polizia di Stato, sotto il coordinamento dalla Procura di Brescia e in particolare dal sostituto Paolo Savio. Se a scoprire la strage e a lanciare l’allarme è stato il socio di Cottarelli, preoccupato dalle telefonate senza risposta è entrato scavalcando nella villetta dell’orrore, l’attività investigativa si concentra da subito su alcuni elementi su cui concordano testimonianze dei vicini e successive risultanze di indagini tecniche: nella villetta sono stati visti entrare tre uomini, in abiti da manager, uno di loro aveva con sé una valigetta. E i tre erano scesi da una Fiat Grande Punto di colore blu.
La pista siciliana
Quella che appare da subito la vittima predestinata, Angelo Cottarelli, ha trascorsi complicati: diversi precedenti per truffe milionarie e non solo, ma si tratta per lo più di fatti risalenti. Difficile per gli inquirenti credere che siano faccende sufficienti a giustificare una simile e brutale violenza. È cercando tra le carte rinvenute, – assieme a molto denaro variamente occultato – tra la villetta e l’ufficio che Cottarelli ha in via Aldo Moro, che spunta per la prima volta la pista che conduce verso la Sicilia.
Andata e ritorno
L’analisi dei documenti consente di restringere il campo. È poi una raffinata attività investigativa a fare il resto, unendo l’analisi delle utenze presenti nella cella telefonica in cui è ricompresa via Zuaboni al momento del delitto al filo rosso tracciato idealmente dalla vettura usata dai tre del gruppo di fuoco. Emerge infatti che si tratta di un’auto noleggiata all’aeroporto di Linate, dove uno dei tre killer atterra domenica 27 agosto e ridecolla alla volta della Sicilia in meno di 24 ore, non senza aver incontrato su appuntamento gli altri due.
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