Stop ai finti poveri, cambia l’Isee

Il Governo vara il nuovo riccometro, per ridefinire l'accesso ai servizi sociali. Si valuteranno case, patrimonio e figli
AA

Stop ai finti poveri, stop allo spreco di risorse, stop ai diritti astratti che non si tramutano in soluzioni concrete per chi ha effettivamente bisogno. Sono gli obiettivi del nuovo «Isee», l’indicatore della situazione economica, che, ha assicurato il presidente del Consiglio Enrico Letta, metterà fine allo scandalo di chi si approfitta dei servizi sociali non avendone alcuna necessità, non pagando ad esempio la retta universitaria ma andando tranquillamente all’Università alla guida di una Ferrari.

Un’immagine che stride e che fa, appunto, gridare allo scandalo se si pensa che quei soldi potrebbero invece essere destinati alle famiglie numerose, ai disabili, ai non autosufficienti o a chi vive momenti di difficoltà.

Il nuovo indicatore, già ribattezzato «riccometro», si pone quindi come misuratore effettivo della ricchezza degli italiani o almeno di coloro che richiedono servizi di assistenza o esonero dai pagamenti in virtù di situazioni economiche disagiate. 

Nell’Isee rivisto e corretto dal governo, peseranno dunque di più la casa e il patrimonio, considerando il valore degli immobili rivalutato ai fini Imu (invece che Ici), e sarà ridotta la franchigia della componente mobiliare. La nuova scala considererà in modo più attento le famiglie con tre o più figli o con persone con diversi gradi di disabilità. Solo una parte dei dati sarà autocertificata, mentre i dati fiscali più importanti come il reddito complessivo e quelli relativi alle prestazioni ricevute dall’Inps saranno compilati direttamente dalla pubblica amministrazione.

I dati sono, del resto, fin troppo eclatanti: con l’Isee vigente finora, in cui tutto è auto-dichiarato, spiega il ministero, «si è verificata una sistematica sottodichiarazione sia del reddito (anche rispetto al reddito Irpef) sia del patrimonio». Parlando del proprio patrimonio mobiliare, l’80% delle famiglie dichiara addirittura di non possedere neanche un conto corrente o un libretto di risparmio, dato non coerente con quelli pubblicati dalla Banca d’Italia.

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia