Stop a nuove cave e «si riparta dal non scavato»
Nessuna nuova cava e capacità estrattiva che riparte da quanto non è stato scavato in questi anni. Sono i due pilastri del nuovo Piano cave.
Il vecchio documento è scaduto nel gennaio 2015, quasi quattro anni fa. Ora la tanto attesa pianificazione 2018-2028 è in rampa di lancio. Giovedì il presidente Pier Luigi Mottinelli ha firmato il decreto che dà il via libera alla proposta di piano e avvia la Valutazione Ambientale Strategica (Vas).
A monte c’è un lungo e faticoso lavoro di studio e mediazione tra le esigenze di tutela del territorio, già martoriato da gigantesche buche dove recuperare sabbia e ghiaia, e le rivendicazioni degli imprenditori del comparto, che chiedevano certezze per programmare i loro investimenti.
Alla fine ne è emerso un piano che non prevede nuovi Ambiti estrattivi (Ate) e riparte dalla capacità residua del vecchio piano: il fabbisogno individuato è di 44,5 milioni di metri cubi, cifra che potrebbe essere ridotta quando sarà chiaro quali «fonti alternative» sarà possibile utilizzare.
Il dato da cui partire è il «sovradimensionamento» del vecchio piano 2005-2015: 54 ambiti estrattivi per 70,3 milioni di metri cubi. In realtà ne sono stati scavati solo 32. Colpa (anche) della crisi, che ha colpito in particolare l’edilizia. Ma l’idea alla base del nuovo piano è comunque stata quella di ragionare su numeri più modesti, evitando che il territorio bresciano fosse il serbatoio di ghiaia di tutto ilnord Italia.
Si è partiti nel settembre 2016, con il «decalogo» per la redazione del nuovo piano, dove sono stati indicati criteri e priorità. Per esempio si è arginato lo spazio delle «riserve giacimentologiche», vale a dire altro materiale presente nei siti a cui far ricorso in caso di necessità, che da sole pesavano per 63 milioni di mc. Poi, nel 2017, è partita la collaborazione tra Broletto e Università Statale di Brescia «per la definizione del fabbisogno estrattivo provinciale e la strutturazione della proposta di nuovo piano» per sabbia, ghiaia, argilla.
L’Ateneo, per definire il fabbisogno, ha tenuto conto del possibile sviluppo dell’attività edilizia, delle necessità per le manutenzioni di strade, edifici e opere pubbliche, delle grandi opere in programma, delle attività produttive e dell’esportazione del materiale fuori provincia, visto che il comparto dei cavatori è leader a livello nazionale (e non solo).
Alla fine «il fabbisogno di materiale inerte per il prossimo decennio» è stato calcolato in 44.504.444 metri cubi di sabbie e ghiaia. In pratica poco più della capacità residua del vecchio piano (38 milioni di mc). In più a quel fabbisogno dovranno essere sottratti «gli inerti da fonti alternative», rocce di scavo, cave da monte, materiale di recupero. Una strada imboccata con decisione su cui sono in corso approfondimenti e che potrà essere «pesata» durante il processo di Vas.
Mottinelli, il cui mandato scadrà mercoledì, si dice soddisfatto: «Abbiamo onorato un impegno che ci eravamo presi, con il territorio e con gli imprenditori. Credo che il risultato sia un compromesso intelligente tra le esigenze di Comuni, comitati e aziende».
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