Soldi per «aggiustare» una sentenza: arrestato giudice tributario

Insieme al commercialista, iscritto alla sezione bresciana, sono finiti in manette anche un prestanome di Lograto e un imprenditore
La sede del Palazzo di Giustizia di Brescia - © www.giornaledibrescia.it
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Alla base c’è una frode fiscale da oltre 90 milioni di euro, 17 dei quali sarebbero stati riciclati attraverso l’acquisto di fiches per il tappeto verde dei casinò di Venezia, Campione d’Italia, Sanremo e Saint-Vincent. Seguendo il flusso di denaro gli inquirenti sono arrivati a contestare episodi di corruzione.

È un’inchiesta che tocca Brescia e Milano quella coordinata dal sostituto procuratore Francesco Milanesi e condotta dalla Guardia di Finanza che ieri ha arrestato l’imprenditore 75enne Luigi Bentivoglio, con azienda a Rovato, Antonino Sortino, un prestanome che avrebbe emesso fatture false, residente a Lograto e detenuto già per altra causa, un giudice tributario della sezione bresciana, Donato Arcieri, e un consulente fiscale, Giuseppe Fermo.

Sono tutti ai domiciliari. Donato Arcieri, commercialista nato a Potenza, 59 anni compiuti ad agosto, residente nel Milanese è giudice in tre delle 26 sezioni della Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia, una delle quali, quella bresciana, presieduta dall’ex procuratore aggiunto Carlo Nocerino che fino alla sua permanenza a Brescia, prima del trasferimento come procuratore capo a Busto Arsizio nelle scorse settimane, ha supervisionato l’inchiesta in cui risultano indagate 90 persone. Contestati a vario titolo i reati di corruzione in atti giudiziari, autoriciclaggio, dichiarazione fraudolenta ed emissione di fatture per operazioni inesistenti.

Contestualmente ai quattro arresti sono state perquisite 34 aziende tra la provincia di Brescia e quelle di Milano, Bergamo, Cremona, Novara, Modena e Bologna. Sequestrate e controllate fino al tardo pomeriggio di ieri cassette di sicurezza riconducibili ai principali indagati. Bloccati anche numerosi conti correnti. La corruzione. Sotto la lente di ingrandimento della Guardia di Finanza è finita una causa tributaria che si era chiusa nel marzo 2019 con una sentenza favorevole ad una società riconducibile agli imprenditori arrestati, per un valore di 255.000 euro di imposte non versate.

Nel processo tributario al centro del filone di inchiesta sulla corruzione, Giuseppe Fermo, il ragioniere consulente fiscale arrestato ieri, aveva il ruolo di difensore del contribuente, mentre Donato Arcieri quello di giudice relatore. Le Fiamme gialle hanno accertato e individuato numerosi trasferimenti di denaro dalla società che sarebbe stata favorita nella causa, al consulente fiscale Fermo, che avrebbe poi versato i soldi sui conti intestati a società rappresentate dallo stesso giudice tributario Donato Arcieri. A Giuseppe Fermo la Procura di Brescia era arrivata dopo i primi passi dell’indagine, nata da un controllo fiscale nell’agosto del 2019 a carico di una società bresciana, risultata per sei anni evasore totale e che dal 2013 al 2019 avrebbe emesso false fatture per circa 12 milioni di euro nei confronti di numerose imprese del nord Italia.

Dalle successive analisi è venuto alla luce quello che chi indaga definisce «un articolato sistema di frode che prevedeva il mascheramento della provenienza illecita degli introiti dell’evasione fiscale». Nel corso delle indagini, a giugno di un anno fa, nei capannoni di un’azienda coinvolta vennero sequestrati 779mila euro in contanti, nascosti tra le travi del tetto, in un muletto e in un tagliaerba. L’imprenditore titolare dell’azienda era stato arrestato in flagranza di reato per istigazione alla corruzione e condannato a due anni e due mesi. Aveva offerto ai finanzieri 70mila euro in contanti per chiudere senza contestazioni l’accertamento. L’intero tesoretto da 779mila euro è stato definitivamente confiscato.

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