Sliding doors, la porta sbagliata del destino

A Strasburgo hanno spento le luci e acceso le torce funerarie. Sono fatalmente caduti uomini, come i larici e gli abeti sradicati dal vento sulle nostre montagne. Ancora una volta esitiamo, privati della forza di reagire ascoltando le terribili urla emesse dal Minotauro del terrorismo, colui che simboleggia la "matta bestialità", quella parte istintiva degli uomini che credevamo ormai sazia.
Oggi che ha immolato nuove vittime, noi vorremmo chiudere gli occhi per non vedere il sangue innocente versato sui marciapiedi e tappare gli orecchi per non sentire il pianto dei familiari di quanti hanno aperto la porta sbagliata, subendo l'effetto sliding doors del destino che ha modificato l'esito delle casualità. Quando atti terroristici ci investono, speriamo, come bambini impauriti dal temporale, che quello sia stato l'ultimo boato.
Siamo tutti impreparati a tragici accadimenti, poiché intimamente pensiamo che non ci appartengano, seppure essi alimentano le paure che scuotono fino alle fondamenta le nostre sicurezze. C'è una strana similitudine fra il nostro bosco orizzontale e i morti in Francia; il paragone si identifica nella violenza. La prima appartiene alla natura, la seconda alla natura dell'uomo.
I tronchi secolari abbattuti dalla bufera, rappresentazione di solida tranquillità, ora sono sparsi sul terreno come stuzzicadenti sopra una tovaglia imbrattata. Così uomini inermi, abbattuti da ideologie, giacciono sull'asfalto, falciati da un'improvvisa folata di intolleranza che ha reciso la loro vita e azzerato le certezze di coloro che ne raccolgono i resti.
L'arena ancora una volta è un mercatino di Natale, dove si potevano comprare giocattoli e caramelle, ghirlande di pigne dorate, angeli e candele. La strada si è tramutata in un campo di battaglia, dove si muore senza identificare come un nemico colui che combatte una guerra mai formalmente dichiarata. Mentre piangiamo i nostri morti si alzano le voci di uomini e donne lungimiranti che, sventolando le bandiere della Pace, ripetono: «non ci avete fatto niente», noi siamo la «Chiesa di frontiera», così come chiede Papa Francesco.
Anche quest'anno sarà un Santo Natale, noi continueremo a piantare abeti, a posizionare pastori e re Magi sotto la stella cometa del presepe. L'itinerario umano verso la grotta del Bambinello è tracciato nelle parole conclusive del libro Diario di un curato di campagna di Georges Bernanos: «Tutto è grazia».
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