Sin Caffaro, spunta il rischio class action per chiedere i danni

In sostanza funziona così: i livelli di inquinamento, da un metro all’altro, sono pressoché identici. Ma se sei dentro quella riga (quella della ferrovia Milano-Venezia) sai che la tua terra è avvelenata, che non puoi lavorarci, che hai delle regole da rispettare e che il tuo nome è nell’elenco delle «vittime dei veleni». Se invece sei oltre quella linea, no. Un paradosso? Sì. Ancora più grosso se si pensa che entro dicembre c’è l’occasione per sistemare un disastro e - per il momento - non si sta muovendo neanche una foglia.
Le richieste delle associazioni ambientaliste
Il tema è quello degli ultimi vent’anni: i confini del Sito di interesse nazionale Brescia-Caffaro. E a ripresentarlo sul tavolo degli enti (Ministero della Transizione ecologica, Istituto superiore di sanità, Ispra, Ats, Arpa, commissario straordinario Mario Nova, Regione, Provincia e Comune) sono cinque associazioni. Marino Ruzzenenti per il Comitato popolare contro l’inquinamento zona Caffaro, Guido Menapace per il tavolo Basta Veleni, Marco Caldiroli per Medicina democratica, Claudia Cauzzi per il comitato Ambiente e salute Brescia e Stefania Baiguera per il comitato per l’ambiente Brescia sud hanno (ri)preso carta e penna e recapitato l’appello.
«È necessario e urgente - si legge - riperimetrare il Sin», includendo almeno tutte le aree che sono sottoposte a ordinanze sindacali dei Comuni di Brescia, Castel Mella, Capriano del Colle e Passirano. E una volta fatto questo, «serve una gestione unitaria che deve predisporre una pre-progettazione di fattibilità tecnico-economica della bonifica e della messa in sicurezza» di tutte le aree private esterne allo stabilimento, dove vivono decine di migliaia di cittadini, «cui destinare la maggior parte delle risorse» che si prevede di incassare da LivaNova, la multinazionale in cui è confluita Sorin, quest’ultima ritenuta direttamente responsabile del disastro ambientale Caffaro dalla Corte d’Appello di Milano nella sentenza del 28 ottobre 2021.Lo scenario e i rischi
L’antefatto, ovvero la novità che potrebbe fare ingranare la marcia anche a quest’operazione - oltre a quella in corso per risanare la ex cittadella industriale -: a dicembre il Ministero della transizione ecologica si è dato, nero su bianco (nell’articolo 17-bis del Recovery), un anno di tempo per revisionare i perimetri dei 41 Siti di interesse nazionale (Sin), partendo da una sorta di censimento. Un’esigenza nata dal fatto che molti territori avevano inserito nei Sin aree non contaminate. Per Brescia, però, la situazione è esattamente opposta.
Spiegano le associazioni: nel 2002 «solo una parte minoritaria dell’area inquinata venne compresa nel Sito nazionale». In cifre: 262 ettari di terreni rispetto ai circa 700 ettari certificati dall’Arpa come contaminati da Pcb, metalli pesanti e altri veleni. Tanto che l’Agenzia ha stimato in 3.128.613 metri cubi il suolo - esterno dalla cittadella industriale - da bonificare. «Si è creata così una situazione più volte denunciata e mai più sanata, un unicum a livello nazionale», anche perché - ribadiscono le associazioni - «i cittadini che vivono nelle aree altamente inquinate esterni al perimetro del Sin non si trovano meno esposti ai rischi per la loro salute».
Il j’accuse guarda anche al Comune, al quale i comitati imputano «una posizione risultata nel tempo ondivaga e contraddittoria», tanto che «non è stato fatto nulla per sanare l’assurda situazione». Al momento non esiste un piano per le aree esterne al Sito, a sud della ferrovia e questo fa sì che una parte dei cittadini vittime del disastro ambientale prodotto dalla Caffaro potrebbero non ricevere neppure un centesimo dal futuro risarcimento che - ricordiamo - resterà per buona parte nelle casse del Ministero: una fetta importante dei fondi per Brescia, infatti, sono già stati anticipati per i risanamenti avvenuti e in corso.«Occorre ricordare - recita il documento inviato agli enti - che questi cittadini, oltre ai rischi per la loro salute, hanno subito un danno tangibile, sia per i terreni di proprietà inquinati, sia per la svalutazione subita dai loro immobili». Di qui l’ipotesi di una class action che «legittimamente potrebbero promuovere per ottenere il riconoscimento di un parziale risarcimento e, quindi, una quota parte dei 250 milioni» che LivaNova è in questo momento chiamata a risarcire. Ecco perché - proseguono le associazioni - «ai cittadini, nell’immediato, andrebbe offerto un servizio da parte del Comune che li informi dei livelli di inquinamento presenti nei loro terreni, nonché dei costi connessi a un’eventuale bonifica, quantificando così il danno patrimoniale subito».
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