Silvana Gervasoni: «Le bombe hanno ucciso mia mamma»
Il dolore è ancora lì, vivo e pulsante, come se quella scarica di bombe sul rifugio in via Bonservizi, ora via Stoppani, fosse stata sganciata poche ore fa. Invece, era la notte del 13 luglio 1944 quando Silvana, una bimbetta di undici anni con le gambe talmente magre per la fame patita durante la guerra che sembravano quelle di uno stambecco, scese in quella cantina insieme ai suoi genitori e ad un centinaio di altre persone.
Il rifugio venne bombardato, ferocemente bombardato. I morti furono 84, tra cui Rosa Ada Mignocchi, giovane donna di 33 anni madre di Silvana e di altri due bambini in tenerissima età. «Nella mia vita ho viaggiato moltissimo, ho visitato tutto il mondo. Ma mi sono sempre tenuta alla larga dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra, perché è enorme il rancore e l’odio che mi porto dentro nei loro confronti, nei confronti di chi ha ucciso la mia mamma».
Crudo, commovente, angosciante, il suo racconto. La bellissima foto della mamma, in bianco e nero e dai bordi dentellati come usava allora, impedisce di pensare all’orrore di quella notte. «Non riuscivo a muovermi e sono rimasta sotto le macerie quattro ore e 45 minuti. Poi, mi hanno liberata e portata all’Ospedale Civile, che allora era in via Moretto. Nel grande stanzone, piangevo e cercavo mia madre, girovagando da un letto all’altro. C’era una suora, che copriva con il lenzuolo il volto di chi moriva. Ebbene, dopo qualche ora, i volti scoperti erano pochissimi e di mia mamma nessuna notizia. Ricordo, come fosse oggi, che un comandante tedesco mi accarezzò i capelli e, informato della mia disperazione, mi disse: "ricordati sempre che non è stato un bombardamento tedesco, ma americano". Sempre, me lo sono ricordato. Sempre».
Silvana si infervora e si commuove, consegnando i ricordi di quei giorni di dolore. Con sè, ha anche i ritagli dei giornali dell’epoca, perché nel ricordare le vittime dei bombardamenti, negli anni successivi a quella tragica notte, veniva pubblicato l’elenco dei nomi. «C’era anche quello della mia mamma». Poi, con gli occhi lucidi: «Sì, gli americani ci hanno liberato. Ma a quale prezzo?».
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