Sgarbi sul Bigio: mettiamolo dentro un museo

Secondo il critico d'arte «condivisibile il recupero dell'opera del Dazzi, ma evitiamo il ritorno in piazza»
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«La storia va rispettata. E nella storia di Brescia c'è anche nel 1945 la rimozione da piazza Vittoria di quella statua dal forte valore simbolico. Non si può non tenerne conto. Il recupero artistico dell'opera di Dazzi ha senso ed è certamente condivisibile, una soluzione positiva e rispettosa potrebbe allora essere una sua musealizzazione.

Dentro un museo di arte moderna o nella stessa Santa Giulia, dove già si trova ad esempio il busto di Mussolini opera di Adolfo Wildt». Vittorio Sgarbi guarda con interesse al dibattito - artistico ed architettonico ma anche politico e culturale - che si è aperto in città attorno al recupero della statua intitolata l'«Era fascista» realizzata da Arturo Dazzi e inaugurata nel 1932 dallo stesso Benito Mussolini con un bagno di folla.

Lo scultore toscano vi lavorò nel suo atelier di Carrara per più di un anno prendendo a modello un aitante giovane versiliano che negli anni successivi addirittura entrò a far parte del Comitato di liberazione nazionale. L'architetto Marcello Piacentini, che firmò il disegno di piazza Vittoria, descriveva così la statua al federale bresciano Augusto Turati: «Lo slancio in avanti la rende del tutto originale, e tale da non potersi equiparare a nessun'altra. È tuttavia contenuta, sobria, larga, italianissima».

«Piazza Vittoria disegnata da Piacentini - conferma il critico - rappresenta senza dubbio uno dei più eloquenti esempi dell'architettura dell'epoca».
Anche sulla statua a cui per decenni i bresciani hanno attribuito nomignoli ironici e irrispettosi - il Bigio, il Lélo, Gioàn Cülàta, tanto che il bar alle sue spalle era noto come il Cafè dèle ciàpe - Sgarbi ha un giudizio esplicito: «Sul merito artistico dell'opera di Arturo Dazzi non può esservi alcun dubbio. Lo scultore ha un valore, una espressività e una importanza storica che non possono essere negati».

Però? «Però il ritorno in piazza della statua proprio non ce lo vedo».
Perché? «Per ragioni molto diverse. Innanzitutto è così alta e imponente... E poi la funzione celebrativa alla quale intendeva rispondere era ed è del tutto evidente. Il suo legame con il fascismo era ed è indiscutibile, piaccia o no è innegabile. Credo che un ragionevole compromesso che da un lato consente la fruizione artistica dell'opera ma dall'altro evita lo scivolamento in un'operazione nostalgica sia proprio la musealizzazione».

Vittorio Sgarbi insiste, quindi, sul legame tra la fruizione dell'opera d'arte e la presa d'atto delle vicende storiche che l'hanno investita. «Ci sono cose fatte in passato che magari oggi non faremmo più - sottolinea ancora il critico d'arte -, ci sono vicenda storiche che lasciano segni pesanti non più eludibli. La storia è piena di statue innalzate e di statue abbattute. Abbiamo ucciso Saddam Hussein. Magari oggi non lo faremmo più, ma ormai lo abbiamo fatto e dobbiamo tenerne conto».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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