Sempre più spesso con il bebé arrivano anche le dimissioni
Fiocchi rosa e azzurri alle porte? Nel Bresciano l’arrivo di un bebè comporta sempre più spesso le dimissioni dei neogenitori. I dati - tutti forniti dalla Consigliera di parità su rilevazione dell’Ispettorato del lavoro - lo dimostrano in maniera eloquente: nel 2018 1.618 dipendenti hanno rassegnato le proprie dimissioni entro il compimento del terzo anno d’età dei figli. Solo due anni prima, nel 2016, il dato era fermo a quota 1258. Significa quindi che in 24 mesi l’aumento è stato pari ad più del 28%: percentuale che dimostra come il fenomeno sia in larga crescita.
Crescita che non si verifica solo nel Bresciano: in Lombardia si è passati dalle 9.781 dimissioni del 2017 alle 10727 del 2018 (+9,6%) , in tutto lo Stivale da 39.738 a 49.451 (+24,4%). Entrando nei dettagli, a farsi indietro (dappertutto, scala nazionale e locale) sono - e non è una notizia, purtroppo - soprattutto le neomadri: dati 2018 alla mano, su 1618 dimissioni rassegnate a Brescia e provincia 1126 sono arrivate da lavoratrici. Mentre solo 492 da lavoratori. E non si creda sia un fenomeno che riguarda esclusivamente dipendenti stranieri o immigrati: sulle 1.126 donne che hanno abbandonato il posto di lavoro lo scorso anno, 958 sono italiane.
I dati restituiscono un identikit piuttosto chiaro di chi preferisce, o è costretto, a fare un passo indietro: parliamo di neo genitori con un’anzianità lavorativa fino a tre anni, impegnati soprattutto in attività manifatturiere, commerciali o ricettive, nella stragrande maggioranza dei casi con un contratto full time in mano. Di più: ci si dimette soprattutto entro il compimento del primo anno di età del figlio o, al massimo, entro i tre anni. Interessante anche notare quale ruolo riveste il neogenitore dimissionario. E qui, fra lavoratrici e lavoratori, ci sono dei distinguo. Fra le 1.126 donne dimesse nel 2018, 585 sono (meglio, erano) impiegate, seguite da 491 operaie; in solo otto casi le neomadri rivestivano una posizione quadro. Sul totale di 492 neopadri dimessi invece, la fetta più consistente è rappresentata da operai (350), seguita da impiegati (123). Quanti quadri? Il doppio di quelli femminili, ovvero 16.
La differenza più eclatante fra le dimissioni dei lavoratori e quelle delle lavoratrici emerge al capitolo «motivazione». Circa il 70% delle donne che hanno fatto un passo indietro nel 2018, lo ha fatto per «difficoltà a conciliare il lavoro con la cura dei figli». Nel caso degli uomini, invece, la questione è completamente diversa: la quasi totalità dei neopadri dichiara di aver rassegnato le dimissioni per «essere passato ad altra azienda». Solo una decina hanno lasciato per la difficoltà di conciliazione fra famiglia e lavoro. Segno evidente che la questione è ancora tristemente femminile.
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