Se lo studio diventa un incubo: sempre più giovani chiedono aiuto
Molte ombre accompagnate da una singolare luce. Le ombre riguardano il 64,8% degli adolescenti che ha momenti di grande tristezza senza una apparente ragione, il 65,7% ha frequenti sbalzi di umore e oltre il 42% ha spesso paura, soffre di attacchi d’ansia, fatica ad affrontare gli impegni quotidiani. La luce riguarda il superamento della «vergogna», tanto che quasi nove ragazzi su dieci ritiene che i disturbi psicologici e psichiatrici non siano diversi da quelli fisici e quattro su dieci dichiara di chiedere aiuto ad uno specialista.
Disagio in crescita
È emersa da diverse ricerche - alcune effettuate da più soggetti, capofila l’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico Fatebenefratelli, che hanno coinvolto migliaia di studenti delle secondarie di secondo grado del Bresciano - una situazione di malessere superiore a quella attesa tra gli adolescenti. La pandemia ha ulteriormente accentuato un disagio che c’è ed è in crescita di anno in anno e lo dimostrano anche i dati sulle incertezze scolastiche, sulle decisioni di cambiare corso di studi, sulla difficoltà a portare a termine l’impegno preso, con una dispersione che, nella nostra provincia, riguarda l’8% della popolazione scolastica (l’11,9% in Lombardia e il 13,1% a livello nazionale).
Lo stigma
Parlando dei problemi i ragazzi, tuttavia, anche in questo, hanno bruciato le tappe rispetto all’evoluzione del resto della società che, al contrario loro, tende ancora a nutrire molti pregiudizi nei confronti di chi ha bisogno di un aiuto psicologico e di chi soffre di problemi psichici. Un pregiudizio che è esteso anche alle famiglie. Lo stigma è ancora molto presente. Il concetto era stato teorizzato nel 1970 dal sociologo Erving Goffman, ed è stato adottato dalla psichiatria sociale per definire «l’insieme di pregiudizi negativi attribuiti alle persone con problemi psichici a causa del loro disturbo e che determinano rifiuto, discriminazione ed esclusione».
Presa di coscienza
La conferma giunge anche dalla professoressa Elisa Fazzi, direttore della Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza Asst Spedali Civili – Università di Brescia e presidente della Società italiana dei Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza. «Nella nostra società un problema fisico è più facilmente accettato, a livello individuale e sociale, di quanto non lo sia un problema psicologico-psichico intorno al quale sussistono ancora molti pregiudizi culturali. Soffrirne è quindi spesso fonte di vergogna per il diretto interessato che tende a dissimularlo finché è possibile. Constatare che gli adolescenti tendono a “normalizzare” questi problemi, come è giusto che sia, rende certamente più semplice il lavoro da affrontare, sia perché può facilitare l’emersione precoce del problema perché interventi precoci e tempestivi sono fondamentali anche in questo ambito, sia perché può aumentare l’adesione del paziente al trattamento». La consapevolezza da parte degli adolescenti secondo Elisa Fazzi è anche una conseguenza di quanto avvenuto durante la pandemia: «La sempre maggiore diffusione dei disagi di tipo psicologico e il maggior parlarne che se ne è fatto ha contributo a renderli più “familiari” e a viverli con più naturalezza e serenità».
Torniamo all’allarme dato sia dall’abbandono scolastico sia dalla fragilità che spinge i ragazzi a fare scelte di studi che si rivelano inadeguate. Un fenomeno, anche questo, in crescita nel quale si somma un carico di stress sociale e familiare, legato a pressioni e aspettative, ad una componente psicologica ben definita che si chiama «vulnerabilità individuale».
I dati
Sempre dalla ricerca condotta al Fatebenefratelli è emerso che in un giovane su tre (età compresa tra i 14 e i 25 anni, campione di 2.300 giovani) sono presenti sintomi depressivi, ansia, difficoltà a dormire, autolesionismo. Vite che ancora devono trovare la loro direzione. Persone che si sentono ripetere, da quando hanno l’uso della ragione, quanto sono brave ed eccezionali. Questo alimenta una tendenza al perfezionismo che impedisce di avere aspettative realistiche su se stessi. Un fenomeno non trova ancora riscontro nella letteratura scientifica, ma in rete se ne parla moltissimo e sono molti i ragazzi che si identificano in questo malessere, non solo chi ha doti realmente eccezionali. Jung diceva che il malessere dei giovani «è figlio anche delle ombre della società in cui vivono, ovvero dei sentimenti che famiglie e società negano». Ovvero, imperfezione, senso di inadeguatezza e dolore. Per te la scuola è futuro? Sette ragazzi su dieci hanno risposto di no. Ecco, è da qui che si deve ricominciare.
@Buongiorno Brescia
La newsletter del mattino, per iniziare la giornata sapendo che aria tira in città, provincia e non solo.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato