Se la rizidùra è parente di Asterix

Ese il modo più vero per comandare fosse in realtà servire? Il dubbio forte mi è cresciuto cercando una risposta per Gianluigi di Bovezzo, che a Dialèktika chiede qualche indicazione sul termine rizidùra, parola che nella parlata dei nostri nonni indicava colei - di solito una donna matura - che governava in casa. Che governava davvero, dico: gestendo il bilancio domestico, tenendo le chiavi della dispensa, pianificando le spese, garantendo a tutti con equità il giusto sostentamento. Rispondendo ai bisogni di ognuno con sensibilità e rigore.
Il termine rizidùra è naturalmente legato al verbo italiano «reggere» e proprio come questo si appoggia sul latino «régere». La radice che ci sta sotto - per capirci - è la stessa di «rex», cioè quella sillaba che utilizziamo per indicare chi comanda e nel contempo regge uno Stato. È di fatto la stessa sillaba che troviamo nel nome di fieri Galli quali VercingetoRIX e AsteRIX (scusate l’eterogeneità dei riferimenti). Una evocazione di come operasse la rizidùra ci arriva dalla cinquecentesca «Massera da bé». Qui Flor da Coblàt spiega: «Quant so che’s vul disnà (quando so che si vuole desinare) em metti a manestrà (mi metto a distribuire pietanza). Tucc za col so basiù (tutti qui con la loro scodellona) e ge’n do fi che i vul (gliene do finché ne vogliono)».
Centrale il gesto del menestrà: servire minestra, ma anche decidere in quali parti offrirne. Insomma: am-ministrare. Servire e comandare. Il distribuire pietanze a chi sta alla stessa tavola, il dividere in parti uguali il pane e il vino, il servire come gesto ultimo di chi è davvero re: non ce ne parlava solo Flor da Coblàt. Ma questa è un’altra storia.
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