Se i figli picchiano i genitori
Possiamo prendere a prestito la parola «bullismo» ormai comune e per certi versi abusata, quando incontriamo ragazzi o figli che offendono o picchiano adulti e genitori. In ogni forma possibile e per qualsiasi ragione possa accadere, tutto questo si chiama solo e semplicemente «violenza».
Comportamenti sempre più allarmanti perché sembrano susseguirsi con impressionate frequenza. Possiamo e dobbiamo condannarli ma forse dobbiamo anche vedere che si tratta di una violenza diffusa nel tessuto sociale che caratterizza gran parte delle relazioni interpersonali di oggi e dove i conflitti emergono, sovente, da un sottosuolo di sentimenti incontrollati e violenti e da rapporti familiari critici dove prevale l’assenza normativa e la distanza emotiva.
Per tentare di comprendere le ragioni di questo dilagante fenomeno non dovremmo nasconderci il fatto che i comportamenti offensivi possano essere un segnale terribilmente inquietante che indica come l’educazione abbia fallito il suo compito. Mi vien da dire che hanno fallito gli adulti di riferimento incapaci di essere modelli positivi. Ha fallito la famiglia permissiva quando insiste nel chiamare «bravate» le prepotenze e i comportamenti offensivi dei figli e quando giustifica oltre misura ogni loro azione. Ha fallito anche la scuola che non è stata capace di riconoscere precocemente gli atteggiamenti violenti e pericolosi dei ragazzi che deridono, offendono, minacciano e feriscono senza preoccuparsi delle conseguenze.
Se non abbiamo più adulti autorevoli, capaci di usare le sanzioni come strumento formativo utile e far comprendere la relazione tra un’azione e le sue conseguenze, finiremo per trovare sempre più minori - e poi figli adulti - che non sanno distinguere i ruoli né riconoscere e rispettare l’autorità di chi ha funzioni educative, in quanto per primi gli adulti sembrano aver abdicato a questo ruolo e azzerato da tempo il valore simbolico di questa parola.
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