Se cercare notizie diventa un reato
E così si scopre che cercare e scrivere notizie è un reato. Non solo, se le si cerca (e le si pubblica) con continuità, il quadro complessivo assume i contorni del «disegno criminoso». Ed è così che un sequestro esplorativo finalizzato ad acquisire contatti telefonici, mail e messaggi scritti e ricevuti da un giornalista professionista, seppur bocciato anche di recente dalla Cassazione, a Brescia diventa legittimo. Con buona pace del diritto - e del dovere - della tutela delle fonti. Oltre che della libertà di stampa. Iscrivere il cronista nel registro degli indagati permette di eludere la tutela del segreto professionale. Possibile? Evidentemente c’è chi la pensa così e agisce di conseguenza.
La lezione di buon giornalismo (e di buon diritto) ci viene dalla Procura della Repubblica di Brescia. Lezione scritta. È nero su bianco, sul decreto di perquisizione e sequestro eseguito dai carabinieri del Ros nei confronti del collega Andrea Cittadini, nerista e giudiziarista di Teletutto e del Giornale di Brescia nonché corrispondente Ansa, colpevole di aver «istigato ignoti pubblici ufficiali a violare i doveri di segretezza».
E sempre nero su bianco si indica il contesto nel quale questa istigazione sarebbe maturata: la scomparsa dell’imprenditore Mario Bozzoli, avvenuta l’8 ottobre 2015, e quella di una giovane della Bassa avvenuta nel febbraio del 2017. Caso irrisolto e ancora aperto il primo; caso «sgonfiato» con il ritrovamento della ragazza pochi giorni dopo, il secondo.
Si badi bene: qui non si contesta la veridicità o meno di una notizia ma la notizia in sé. L’averla cercata e pubblicata. Reiteratamente. Quale sia la gravità delle notizie riservate e rese pubbliche negli articoli firmati dal collega, resta un mistero. Così come misteriosa è la fonte della notizia segreta, con la quale il nostro collega si sarebbe macchiato di «concorso morale» nel reato.
Poco misteriosi appaiono invece il metodo adottato e l’effetto conseguito da questa inchiesta aperta per presunta fuga di notizie. Ammonire il collega e l’intera redazione limitandone l’esercizio del diritto-dovere di cronaca. Fare terra bruciata, insomma. Mettere al bando l’intera rete di relazioni professionali del collega, all’interno e all’esterno del palazzo di giustizia. Sia chiaro: nessuna difesa d’ufficio né pretesa di sconti perché anche noi rispondiamo alla legge. Pretendiamo però che sia Legge, quella costituzionalmente garantita e non al servizio di alcuno. È inaccettabile che la ricerca della notizia venga svilita a istigazione a delinquere da reprimere per via giudiziaria.
Al collega non sono stati contestati episodi specifici, non gli è stata neppure chiesta la ragione (o la fonte) di una notizia riservata e resa pubblica. Gli si contesta invece «la frequenza degli articoli di stampa riportanti notizie segrete di cui dimostra di aver conoscenza» che renderebbe «altamente probabile l’esistenza di sue condotte finalizzate a procacciarsi pervicacemente e reiteratamente le notizie» tanto da prevedere che «la provvisoria imputazione è suscettibile di estendersi anche ad altri casi». Insomma, è colpevole di fare il suo mestiere, di cercare la verità in libertà, andando oltre le conferenze stampa e le veline precotte da pubblicare con il copia e incolla.
Ebbene, se Andrea Cittadini è l’istigatore, si sappia che qui al Giornale ci sono i mandanti. Io per prima, direttore reo confesso, in concorso con l’intera redazione e con ciascuno dei nostri oltre 400mila tra lettori e telespettatori che ogni giorno chiedono notizie e verità. Ci riesce sempre bene? No. Solo chi fa, può sbagliare. Ma garantiamo serietà e buona fede. E quando sbagliamo, siamo pronti a pagare dazio. Ma non possiamo tacere l’indignazione di fronte all’equivalenza tra libera indagine giornalistica (che passa anche dalla richiesta di informazioni alle fonti) e illecito penale.
Indignazione peraltro condivisa dagli ordini dei giornalisti nazionale e lombardo, dalla Federazione nazionale della stampa, dall’Associazione lombarda dei giornalisti e dal Gruppo cronisti lombardi che ringraziamo per le dichiarazioni di solidarietà verso il collega e la nostra redazione: la posta in gioco è alta e ci riguarda tutti, giornalisti e lettori.
È il potere d’indagine che di fatto compromette la completezza dell’informazione. La reazione non può che essere corale. Di principio, oltre che di diritto. L’indignazione e lo sconcerto non impediranno comunque a tutti noi di continuare a fare il nostro mestiere, al servizio della ricerca della verità, anche se scomoda per qualcuno. Tutti noi, colleghi di Andrea, siamo pronti ad accogliere nelle nostre case l’ufficiale di pg di turno per ricevere la lezione di buon giornalismo e buon diritto, in attesa della prova d’esame. La moka del caffè è già sul gas. Si prega di suonare piano. In questo periodo le scuole sono chiuse e i bambini dormono fino a tardi.
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