Scarface, le risposte di Mura: «Con l’ndrangheta nessun rapporto»

L’imprenditore si difende: «Non ho comprato poliziotti e carabinieri, erano miei buoni amici»
Ieri in Tribunale il lungo esame del principale imputato - © www.giornaledibrescia.it
Ieri in Tribunale il lungo esame del principale imputato - © www.giornaledibrescia.it
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Non si è contraddetto. È parso preparato e determinato. Ha risposto a tutto. A tutto ha dato la sua spiegazione. Che tanto basti per portare i giudici della sua e per scrollarsi di dosso accuse pesantissime Francesco Mura, il 42enne imprenditore delle tivù commerciali di casa ad Erbusco e finito in carcere nell’autunno di due anni fa nell’ambito dell’inchiesta Scarface, però lo scoprirà solo tra qualche tempo.

A processo per riciclaggio, autoriciclaggio, trasferimento fraudolento di beni, evasione fiscale, indebito utilizzo di carte di credito, corruzione e concorso nell’accesso abusivo a sistema informatico, ma soprattutto per associazione per delinquere di stampo mafioso, rispondendo alle domande del pm Teodoro Catananti Mura ha anzitutto escluso rapporti con la ’ndrangheta.

Riciclaggio

Secondo la procura ha preso e dato soldi ad un esponente della ’ndrina dei Barbaro Papalia. In particolare, nell’estate del 2018, avrebbe ricevuto circa 100mila euro in contanti in un duplice incontro tra la Riviera del ponente ligure e la Costa Azzurra. Quei soldi sarebbero serviti per evitare il fallimento di una tv commerciale di due socie e coimputate.

Stando all’accusa Mura avrebbe anche versato nelle mani di chi l’aveva sponsorizzato «fondi neri» realizzati attraverso l’emissione di fatture false, ma anche attraverso carte di credito prepagate intestate a prestanome. «Non ho mai avuto rapporti con l’ndrangheta e preso soldi da suoi esponenti - ha detto ieri Mura, giustificando il contenuto di alcune intercettazioni -: fui io a prestare 60mila euro alle mie due socie per evitare il fallimento della loro tv. Li andai a prendere a Montecarlo. Mi inventai che arrivassero dalla ’ndrangheta per far loro pressione, nella speranza di rientrare del prestito».

Francesco Mura ha spiegato le ragioni dell’incontro ad Alassio, avvenuto in quegli stessi giorni dell’escursione in territorio monegasco, con l’esponente dei Barbaro Papalia e l’origine dei 14.500 franchi svizzeri ricevuti da quest’ultimo. «Voleva il mio Rolex - ha spiegato - e io gliel’ho venduto. Che suo suocero stesse scontando diversi anni per gravi reati l’ho scoperto solo più tardi, quando sua moglie, durante una cena a casa sua, lamentandosi di alcuni articoli di giornale, disse che voleva andarsene dalla Svizzera». Corruzione.

Se l’utilizzo di carte prepagate non era finalizzato a riciclare denaro della ’ndrina («Servivano - ha spiegato Mura - per pagare in nero i lottologi che conducevano le trasmissioni sulle nostre tv») dei reati fiscali l’imputato ha detto di non poter rispondere perché dell’amministrazione contabile delle sue aziende non si è mai occupato. Quanto alla corruzione dell’ex comandante della Polizia Stradale di Chiari, nel frattempo assolto, e del luogotenente dei carabinieri Nicola Firrarello, deceduto nel corso del processo, ha dato una versione alternativa.

Secondo l’accusa ha pagato il primo per evitare una contravvenzione in A35, mentre al secondo regalò un Samsung Galaxy e diverse ricariche di Poste Pay. «A Motterlini non ho regalato biglietti per Juve-Inter - ha detto - : andavamo spesso insieme allo Juventus Stadium. Quella volta non potevo esserci e così gli ho ceduto i miei posti. Firrarello invece mi pagò il cellulare, così come fece per le ricariche. Giocava alle slot del mio bar. Quando finiva i soldi mi chiedeva se potevo ricaricargli la carta, poi provvedeva a pagare».

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