Salmonellosi micidiale: la morìa di storni non accenna a placarsi
La morìa di storni non si placa. La causa è la salmonellosi, quindi - questa volta - non i pesticidi e gli erbicidi sversati sui campi. L’ultimo ritrovamento dei piccoli volatili senza vita nella nostra provincia è di martedì pomeriggio, quando - come raccontato dal commissario capo della polizia provinciale Dario Saleri - «a Ponte San Marco, sotto due alberi, l’Ats di Lonato ne ha raccolti una cinquantina, tutti già privi di vita, ma comunque di bell’aspetto».
Poche ore prima, sul lago d’Iseo, sponda bergamasca, ne erano stato trovati nelle medesime condizioni alcune decine, mentre la settimana scorsa gli episodi sono stati numerosi, con le concentrazioni più importanti tra Montichiari e il lago di Garda. Quella che ormai ha le sembianze di una strage, sta preoccupando non solo le autorità igienico-sanitarie e gli ambientalisti, ma ormai anche il mondo tecnico-scientifico delle diverse istituzioni del territorio e i cittadini, preoccupati che la causa possa essere contagiosa per l’uomo.
Dagli esami anatomo-patologici effettuati dall’Ats di Brescia è emerso che «le carcasse controllate mostrano un quadro sovrapponibile, con focolai necrotici a livello epatico e setticemia. Sul materiale biologico del primo conferimento, quello proveniente da Desenzano del Garda, è stata isolata salmonella hessarek, in letteratura riportata quale causa di setticemia e mortalità negli storni. Anche per i conferimenti successivi analizzati è stata esclusa la presenza sia di influenza aviaria che di pseudo peste aviaria, west nile e usutu, anche se sono ancora in corso altre indagini». Le segnalazioni fanno pensare che l’anomala mortalità abbia già colpito centinaia di storni, avvistati ripetutamente nel nostro cielo nelle ultime settimane in migliaia e migliaia, numerosi come non mai.
A tracciare una diagnosi delle cause della strage invece è stato l’Istituto zooprofilattico di via Bianchi. «Molti storni evidenziano lesioni anatomo patologiche di forme setticemiche - spiega il direttore sanitario Giorgio Varisco -. Un’infezione batterica quindi, non molto diversa da quelle che si verificano a volte nella grandi comunità, in cui quando se ne ammala uno la malattia si propaga colpendo a grappoli». Una delle aree in cui si concentrano di più è la Riserva delle Torbiere del Sebino.
«Ci vengono in massa a dormire - racconta l’ornitologo del comitato tecnico scientifico Paolo Trotti - perché tra i canneti si sentono al sicuro, meglio e più protetti. Noi ne abbiamo trovati morti molto pochi e non abbiamo mai accertato che fossero stati avvelenati. Resta il fatto che la Riserva non è sufficiente a proteggerli perché in giornata, per alimentarsi, volano verso i campi della pianura e in questo modo si espongono al pericolo di contagio e di ammalarsi».
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