Roverotto, la città e la sua forza nelle prove più estreme
Non c'erano le scuole, come negli anni passati. Le autorità intervenute indossavano mascherine e il raccoglimento era scandito da distanze tra i presenti che in altre circostanze sarebbero parse una bizzarria nel cerimoniale. A restare immutata è stata la volontà di rinnovare, che pur nella sobrietà, il legame delle Leonessa alle sue radici e alla sua storia.
Anzi, paradossalmente, quella celebrata al Roverotto è stata una cerimonia quanto mai sentita, in un intreccio di storia, leggenda, tradizione e devozione. Un omaggio alla memoria dei santi patroni, di cui è stata cifra la deposizione di una corona d’alloro, alla lapide commemorativa che raffigura i Santi Faustino e Giovita, sulla salita di via Brigida Avogadro, quella che da piazzale Arnaldo conduce al Castello.
A quanto tramandato, infatti, nel 1438 i Santi Patroni apparvero in quel luogo per difendere la citta assediata dalle truppe milanesi di Niccolo Piccinino, condottiero al servizio dei Visconti di Milano, costringendolo alla ritirata, dopo aver fermato palle di cannone scagliate contro i bastioni. La leggenda vuole che alla vista dei Santi, il Piccinino diede ordine di fermare l'assalto, esclamando: «Io combatto contro i fanti, non contro i santi». E da lì in poi Faustino e Giovita divennero i santi protettori della città.
Il ricordo di quelle virtù che ha permeato la cerimonia - alla quale hanno preso pare autorità civili e militari, oltre al Vescovo Tremolada e al presidente della Confraternita dei Santi Patroni - è diventato così occasione per riaffermare la capacità della città di far fronte anche agli eventi peggiori, riscoprendosi più forte. Un messaggio che il tempi di pandemia suona come un augurio.
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