Roberto Vigasio e la fototerapia: 365 scatti per conoscersi
Tutto è cominciato il primo gennaio 2021 con uno scatto con cuffia, mascherina e giacca ed è finito il 31 dicembre: 365 scatti che hanno portato Roberto Vigasio a conoscersi, a spogliarsi (anche fisicamente) di fardelli che, come ognuno di noi in modo diverso, si portava dietro da una vita. E così dalla fototerapia ne è nato pure un progetto artistico che il 48enne vorrebbe anche trasferire in una mostra e in una pubblicazione. E anche un nuovo lavoro. «La fotografia è sempre stata una passione - racconta -, ci sono cresciuto e ci ho lavorato fino al 2013 (nello storico negozio di famiglia), ma mai avevo mostrato i miei lavori, fotografavo tutto tranne me». Poi tutto cambia e decide di mettersi in discussione. Ecco «Selfportraitproject365».
Gli inizi
Prima si iscrive al corso di Fototerapia psicocorporea, a Bologna, e poi a quello per diventare facilitatore del metodo Spex:«Si scoprono parti di sé che non si vedrebbero». Ogni giorno Roberto prende in mano il suo smartphone e si fa un autoritratto che poi elabora cercando di tradurre in immagine il sentire del giorno. Ecco un urlo, una sovrapposizione tra il suo viso e una cosa vista. Uno scatto divertente. E così via. «Quando però si riguardano i lavori ti accorgi che dietro, ad esempio, quella che credevi rabbia, c’è ben altro, gli occhi dicono qualcosa di più». E qui entra in gioco un terapista che aiuta nella lettura delle evidenze. Inizia da qui il dialogo con sè. «Nella fototerapia si è soggetto - spiega Vigasio -, regista e osservatore. Quest’ultima fase dà una maggiore percezione del sè e qui viene in aiuto il medoto Spex, ci si osserva con il giusto distacco, come se stessimo vedendo una persona nuova, le nostre molteplicità».
L'emozione diventa arte
Un processo di introspezione che è durato un anno, 365 scatti che poi sono stati postati anche sui social, un passo importante perchè si affida qualcosa di sè agli altri che magari ci vedono tutt’altro e possono anche criticare o peggio. «Il mio obiettivo era rendere il processo comprensibile e ripercorribile con uno strumente democratico, alla portata di tutti, un telefono». Per questi motivi il processo è molto utile ai ragazzi. E così Roberto Vigasio, che con questi scatti sta terminando la tesi per diventare facilitatore del metodo Spex, con Alessandra Scollato, sta portando nelle scuole che aderiscono questo metodo. «Nel percorso usiamo la fotografia per scoprire, vedere e conoscere le nostre emozioni. È un processo catartico dove l’emozione si trasforma in arte e nello istante la si elabora e metabolizza aumentando la conoscenza di sé». Ora il sogno, oltre a diffondere la conoscenza di questo metodo, è fare una mostra con i lavori del 2021 e magari realizzare un testo «spiegando non solo gli scatti, ma soprattutto il processo».
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