Rischiò la vita in disco, ma sul caso pende la prescrizione
Lo scalpo resterà per sempre. Il suo aggressore potrebbero però non pagare mai il conto la giustizia. «Ho rischiato la vita fuori da una discoteca, ma chi mi ha tagliato il collo se la caverà con la prescrizione». È un mix di rabbia e delusione quello che prova Niccolò, un ragazzo bresciano al centro di un caso da «giustizia non giusta». Quantomeno nei tempi.
È la notte del 15 febbraio 2017 quando, ancora minorenne, fuori dalla discoteca Circus in città finisce a terra colpito da chi decide di risolvere a bottigliate un litigio dopo la notte in pista. Prima colpisce Niccolò alla testa, poi rompe la bottiglia e con il coccio ferisce il rivale al collo. Quando vede il sangue scappa e fa perdere le tracce. Niccolò viene portato in ospedale, operato d’urgenza e suturato. Il referto medico parla di «ampia e profonda ferita in sede latero cervicale sinistra». Pochi centimetri più in là e la vicenda, se il vetro avesse intaccato la carotide, avrebbe assunto contorni ben più gravi.
La Procura apre un’inchiesta e dopo due anni di indagini viene identificato il responsabile anche grazie alle testimonianze dei presenti. È un bresciano, oggi 22enne, che viene indagato per lesioni gravi con l’aggravante di aver agito per futili motivi. Se non fosse scappato probabilmente sarebbe stato arrestato la notte stessa. E fin qui tutto bene.
Il caso nel caso si apre dopo la conclusione delle indagini preliminari, quando il tribunale fissa la data del processo. La convocazione è per il 20 marzo 2023. Sei anni dopo l’aggressione e soprattutto un anno prima della prescrizione del reato che scatterà ad agosto 2024. «Trovo scandaloso che si rinvii a quattro anni un processo per un fatto così grave» tuona l’avvocato Alberto Scapaticci, legale della vittima. Parla con il calendario tra le mani. «Andare in aula il 20 marzo 2023 vuole dire che in 14 mesi dovranno essere celebrati i tre gradi di giudizio. Altrimenti scatterà la prescrizione e tutto andrà in cavalleria». L’epilogo pare già scritto. «La famiglia del ragazzo pensava che scherzassi, non voleva crederci» racconta il legale. «Si parla tanto di dare priorità ad alcuni processi rispetto ad altri, ma poi succede che un caso in cui si contesta il reato di lesioni gravi e che poteva essere inquadrato anche come tentato omicidio, sarà discusso sei anni dopo la vicenda e a 14 mesi dalla prescrizione. Vuol dire non tenere conto dei diritti delle persone».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato