Referendum giustizia, ai seggi il flop dell'affluenza e la protesta dei giovani delusi

Nelle 1.171 sezioni allestite tra Brescia e provincia c’era anche qualcuno convinto di scegliere il sindaco del capoluogo
Scrutatori in servizio ai seggi in città per il referendum sulla giustizia - Foto Marco Ortogni Neg © www.giornaledibrescia.it
Scrutatori in servizio ai seggi in città per il referendum sulla giustizia - Foto Marco Ortogni Neg © www.giornaledibrescia.it
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«Òh là! Finalmente posso scegliere il mio sindaco». Nel vuoto totale delle urne allineate sul tavolone del Villaggio Sereno per il referendum sulla giustizia si infila l’eco di Giovanni, 84 anni, tra i pochissimi bresciani felici ieri di varcare la soglia per votare. Solo che era lì per l’appuntamento sbagliato: a comunicargli la «pessima notizia» sono stati gli scrutatori, ma a quel punto «già che son qua datemi le schede» ha abbozzato lui.

Non va meglio altrove, dove a più riprese la scena è stata di sconcerto di fronte alla consegna delle cinque tessere colorate: «Perché cinque? Non è uno il referendum: sì oppure no, sbaglio?». E così, chi stava di turno nelle 1.171 sezioni allestite tra città e provincia per verbalizzare le presenze e appuntare i dati di quei pochi voti abborracciati si è trovato a doversi improvvisare divulgatore di un referendum flop.

La protesta dei delusi

Ci sono il marito trascinato dalla moglie che non conosce neppure il macrotema del referendum, la nipote che aiuta la nonna novantenne a districarsi tra i corridoi (perché «sa, potrebbe essere il mio ultimo voto... l’età avanza: non perdo quest’occasione»): ha 21 anni, la nipote ed è ormai lì, il seggio è anche il suo, ma sceglie di non ritirare le schede. La sua è, come tante, una decisione consapevole, la protesta silenziosa di una generazione delusa. Lo spiega Sara, che di anni ne ha 24: «Avevamo raccolto le firme per altri quesiti referendari e lo avevamo fatto in pochissimo tempo. Invece niente. E allora dovremmo ripiegare su un referendum tecnicistico a cui poi servirebbe una riforma costituzionale che il parlamento è evidente non voglia fare? No, grazie».

Una ragazza inserisce le schede del referendum sulla giustizia nei box
Una ragazza inserisce le schede del referendum sulla giustizia nei box

Sara fa parte delle centinaia di giovani, visti come bug nel circuito politico, che hanno reso possibile il miracolo della partecipazione attiva su più fronti: lo hanno fatto sul tema del nucleare, lo hanno fatto e continuano a farlo per sensibilizzare la politica sull’emergenza climatica. Il timore che le loro istanze si consumeranno sempre in un nulla di fatto è tangibile per loro. Eppure gli under 45 stanno mostrando un modo nuovo di partecipazione dal basso, non più dettato dal bipolarismo tra destra e sinistra, bensì da assi cartesiani mobili che delineano una politica anche per macro-temi, una politica che entra nel merito delle questioni e che non può - questo il messaggio - «procrastinare sempre tutto per conservare il suo posticino comodo» dice Leonardo, 30 anni appena compiuti e la voglia di «cambiare le cose».

Troppi tecnicismi

I giovani, che pretendono una società del mutuo rispetto fra minoranze e parità di genere, si considerano europei, rivendicano i diritti come struttura portante della società, hanno voglia di essere promotori di un pensiero nuovo, adatto a una società più inclusiva e attenta alle declinazioni della diversità, vogliono assumersi delle responsabilità ma anche che se le assuma chi sta al comando dei vari livelli decisionali, giustizia inclusa. Questo giustifica una certa insofferenza verso le strutture di potere che «bloccano ogni azione scomoda. Gli stessi cinque quesiti sulla giustizia per cui saremmo chiamati a votare - incalza Giorgia, che ha deciso di trascorrere la sua giornata al parco Ducos anziché al seggio - sono un ripiego bello e buono. Il più importante e il più comprensibile, ovvero la responsabilità dei magistrati che troppo spesso condannano senza approfondire e restano impuniti, non c’è. Dicono tutti che vogliono ascoltare la nostra voce, ma quando parliamo ci tolgono il volume».

I referendum mancati

Silvia, dell'associazione Coscioni, consegna la dichiarazione di dissenso al seggio
Silvia, dell'associazione Coscioni, consegna la dichiarazione di dissenso al seggio

Dalle sezioni di Brescia a quelle di Flero, più di qualcuno tra i promotori del referendum sulla legalizzazione dell’eutanasia aderenti all’associazione Coscioni, alle urne ci è invece andato, spezzando la noia degli scrutatori che hanno visto per tutta la giornata entrare i bresciani alla spicciolata. Come Silvia, 36 anni, che la «protesta» l’ha messa nero su bianco, l’ha consegnata al presidente di seggio e l’ha fatta inserire a verbale. Recita così: «Non mi sarà permesso di votare per eutanasia e cannabis, referendum promossi con le firme dei cittadini. Questa ennesima negazione del diritto a esercitare la sovranità popolare va contro gli obblighi internazionali della Repubblica e prefigura una violazione dei diritti civili e politici».

Cosa significa questo flop

Loro alle urne ci sono andati lo stesso, ma l’affluenza certifica il flop di questa consultazione. E sul piano democratico il non voto è per certi versi sempre una ferita. Anche perché la diserzione delle urne arriva in un momento di tensione sociale. Sul piano politico, la scelta così radicata di restare a casa - specie da parte degli under 45 - esprime allora anche un’attesa, una domanda. Significa cioè che l’offerta elettorale è giudicata nel complesso inadeguata. Un’offerta che andrebbe quindi riscritta dai partiti tutti, in vista dell’ultimo tratto di legislatura che traguarda con il voto nazionale, regionale (e, nel Bresciano, tra il capoluogo e altri diciotto Comuni, anche locale) nel 2023.

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