Rave party, due precedenti nel Bresciano: cosa prevedeva la legge e cosa prevede ora
Si continua a parlare di rave party. Un'espressione di largo uso da tempo a indicare un raduno di musica techno, tendenzialmente organizzato senza permessi e in spazi abbandonati. Se ne discute molto in questi giorni in ragione del fatto che un evento clandestino organizzato fuori Modena è stato chiuso anticipatamente, previo intervento delle forze dell'ordine. E ha portato persino all'introduzione di un decreto legge ad hoc, primo atto del neo insediato governo Meloni.
In realtà, la conclusione della manifestazione non autorizzata è arrivata al termine di una trattativa: il capannone in cui si svolgeva era pericolante e alla fine i promotori hanno comunicato ai partecipanti la circostanza. Questi ultimi hanno abbandonato l'area non senza aver provveduto ad una parziale ripulitura dello stabile abbandonato e dell'area circostante.
La polemica si è infiammata lunedì 31 ottobre quando, nella prima conferenza stampa da presidente del Consiglio, Giorgia Meloni ha rivendicato la stretta sui raduni come quelli di Modena, presentando il nuovo decreto legge che introduce misure più severe sui «rave party», tra cui il sequestro dei costosi impianti usati per la diffusione della musica, ritenuto un significativo deterrente. Le opposizioni (e non solo) hanno replicato facendo notare che, i presunti reati, avvenuti a Modena e non solo, erano già punibili in base alle leggi precedentemente in vigore.
Se l'inasprimento delle pene previste (fino a 6 anni di reclusione) è una novità, esistono almeno due precedenti episodi avvenuti proprio nel Bresciano, che documentano come fosse già possibile arrivare non solo allo sgombero di un rave, ma per l'appunto al sequestro (e potenziale confisca) delle attrezzature usate in due eventi clandestini, svoltisi rispettivamente a Verlovecchia e a Serle.
Come cambia la legge
«l'invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l'ordine pubblico o l'incolumità pubblica o la salute pubblica consiste nell'invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l'ordine pubblico o l'incolumità pubblica o la salute pubblica».
Le parole che mancano
Nel dispositivo della norma le parole «rave party», però, non compaiono in alcun modo. Per questo da più parti - opposizioni e sindacati in primis - si è registrata una levata di scudi. Il timore, infatti, è che la legge, così scritta, finisca col poter essere utilizzata in modo troppo estensivo, limitando anche manifestazioni di tutt'altro genere, come presìdi sindacali o manifestazioni studentesche. I motivi di deterrenza sono molteplici:
Come stabilito dal testo, infatti, «chiunque organizza o promuove l’invasione (...) è punito con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000. Per il solo fatto di partecipare all’invasione la pena è diminuita. È sempre ordinata la confisca ai sensi dell’articolo 240, secondo comma, del Codice penale, delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato (...) nonché di quelle utilizzate nei medesimi casi per realizzare le finalità dell’occupazione».
Il tema intercettazioni
C'è poi un altro tema ritenuto inquietante: essendo il massimo edittale della pena previsto superiore ai cinque anni di reclusione, il reato ammetterebbe l'intercettazione di chi se ne è reso responsabile o è stato giudicato tale da un tribunale, in quanto ritenuto soggetto pericoloso. E la delicatezza della materia, correlata alla mancata menzione esplicita dei rave party, ha fatto storcere il naso a più di un esperto, tra cui il presidente delle Camere Penali, Gian Domenico Caiazza. Tanto da imporre al neoministro dell'Interno Matteo Piantedosi di rassicurare a mezzo stampa sul punto. Al Corsera ha ricordato come il decreto, già in Gazzetta Ufficiale, potrà essere perfezionato in sede di conversione in aula. Salvo restare tale per 60 giorni, il tempo ammesso per l'approvazione parlamentare.
I due casi bresciani
Chi si interroga sull'indispensabilità di una nuova norma ad hoc, in ogni caso, trova nei casi di Serle e Verolavecchia due esempi di come quantomeno il sequestro del materiale utilizzato nel corso dei rave party, fosse già attuabile con le regole precedentente in vigore in materia, vale a dire l'articolo 68 del Tulps (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza). Ma andiamo con ordine e ricostruiamo le due vicende risalenti al 2021.
A giugno dello scorso anno, in una zona boschiva tra Serle e Botticino, circa 600 ragazzi, maggiorenni e minorenni, si erano dati appuntamento dopo un passaparola social. Ad avvertire le forze dell'ordine erano stati gli abitanti della zona di Prada - area in cui generalmente si organizzano pic nic, ma non raduni di musica techno -, allarmati dalla musica ad alto volume. I ragazzi erano poi usciti in modo ordinato dal bosco e non si erano verificati incidenti, nonostante circolassero alcol e sostanze stupefacenti.
Come accaduto dopo il raduno di Modena, anche a Serle la Polizia aveva confiscato una parte dell'attrezzatura - mixer, amplificatori, casse - trovata in un furgone.
Situazione simile si è verificata due mesi dopo a Verolavecchia. Più di 200 ragazzi, arrivati da tutto il Nord Italia, si sono dati appuntamento a Monticelli d'Oglio dove si sarebbe dovuto tenere un rave di due giorni. In quel caso si è reso necessario lo sgombero perché, come rivelato dalla sindaca di Verolavecchia Laura Alghisi, la vicinanza col fiume Oglio rendeva la zona potenzialmente pericolosa per i ragazzi. Per questo Carabinieri e poliziotti avevano delimitato il perimetro, chiudendo tutte le possibili vie di fuga.
Anche in questo caso, dopo quasi due mesi, il sequestro di consolle, casse, luci e altro materiale elettrico, si era tramutato in confisca da parte del Comune. I tre organizzatori 25enni erano poi stati poi rintracciati e indagati.
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