Quel «ragazzo gotico» giovane senza età
«Ma sì... - ribadisce ormai spazientita mia mamma -. Ti dico che l’altra sera in pizzeria c’erano anche le s-cète, le ragazze». Ragazze? Quali ragazze, chiedo io che sono sempre lento a capire. «Ma sì, ensóma... eravamo assieme alle Magistrali». Sessant’anni fa.
È proprio vero che la giovinezza non vuol finire mai. E che quando - specie in dialetto - ci scappa di chiamare qualcuno «ragazzo» non lo facciamo necessariamente per dire che ha meno di tot anni, quanto piuttosto per dar voce a quel legame fatto di complicità e affetto, che quando nasce nell’adolescenza poi non ti lascia più. Tante le indicazioni che ci sono arrivate dai lettori alla nostra domanda: come si diceva ragazzo in dialetto dalle vostre parti? Ecco allora (ce ne siamo occupati nelle settimane scorse) gnari e gnare, s-cècc e s-cète, matèi e matèle, tus e tuse, bòcia.
Voglio qui ricordare anche le segnalazioni di Giovanni Cherubini (cura da anni il gustoso Lönare Bressà) che ci parla di fanzì e fanzìne in Valsabbia e magàcc e magàte in Valtrompia. Valerio ci indica i pì e le pine in Valcamonica mentre sia Claudio da Chiari che Lucia da Torbole Casaglia ci dimostrano quanto fosse diffuso s-cètt nella Bassa.
Infine ho trovato intrigante la mail di Graziano Melzani (autore con Fiorino Bazzani di un vocabolario bagosso) che ricorda l’uso a Bagolino di ’lgial e ’lgialä e ne ripercorre la storia risalendo all’antico gotico fino a trovare una radice comune con l’inglese child. Spettacolo! Le parole per dire ragazzo non hanno età. Grasie, s-cècc..
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