Quanto può unirci la nostra diversità
Nella controra del pomeriggio agostano cerco un po’ di refrigerio sotto una pianta di fico. Scorro distrattamente le immagini di Facebook e mi appare un post di Naima, pescato dai suoi algoritmi come un timido paguro. È un messaggio diverso dagli altri, come questa estate che non dimenticheremo. Le frasi sembrano scritte di getto, quasi fosse una lettera indirizzata a se stessa, nelle quali ripercorre la storia d’amicizia fra sua madre e un’anziana signora che abitava nel palazzo di fronte.
Il racconto ha i contorni delicati di due donne che, senza saperlo, hanno praticato la vera sorellanza. Insieme hanno intessuto una rete solidale sullo spartiacque delle loro diverse culture, abbattendo stereotipi e gradi di separazione. Una confidenza femminile durata trent’anni quella fra Zahra arrivata dal Marocco e Angela, che in Sardegna ci era nata, come tutti i suoi. Forse si saranno conosciute stendendo i panni o bagnando il basilico sul terrazzo, cominciando a salutarsi con un cenno del capo o sorridendosi dalla finestra.
Angela da tempo soffriva di una malattia invalidante e usciva di rado, ma ancora le piaceva cucinare. Spesso metteva un piatto nel cesto legato al cordino e lo calava in strada quando l’amica tornava stanca dal lavoro. Col tempo avevano imparato a sostenersi a vicenda, instaurando la bella abitudine di scambiarsi piccoli doni a Pasqua e Natale e per festeggiare i loro compleanni. La mattina presto di agosto, quando Zahra ha saputo che Angela era andata via per sempre, ha pianto sconsolata come nel giorno in cui era mancato suo marito. Per l’ultima visita non ha comprato i fiori. Ha preferito portarle le sue rose damascene, che coltiva con cura in ricordo della sua terra.
Per attenuare la sofferenza ha ascoltato per due giorni la recitazione del Corano, cercando nella sua religione lo stesso conforto che troviamo nella nostra. Poi, come vuole la tradizione marocchina, ha preparato il pranzo dei morti con cous cous e tajine e lo ha offerto ai figli di Angela. Quando ho telefonato a Naima, entrambe abbiamo convenuto che le amicizie nate sull’onda dell’empatia non distinguono tra razza, lingua o religione. La chiave che apre alla mediazione culturale non si trova solo nelle Università, ma attraverso i gesti delle persone semplici che colorano le differenze, facendole diventare ponti e arcobaleni. Il vero splendore, scrive Margaret Mazzantini, «è la nostra singola, sofferta, diversità».
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