Quando un Mostasù diventa malmustus
Caffè al banco, ore 13.30, venerdì. La tivù alla parete del bar rilancia il volto della commissaria Ue al Commercio. È la svedese Cecilia Malmström. Non c’è l’audio, ma il titolo dice che sta parlando dei dazi Usa e basta guardarla in faccia per capire che le sono proprio andati di traverso. «Ostrega, se l’è malmustùsa...» si lascia andare il mio socio.
La Malmström malmostosa mi fa sobbalzare. L’aggettivo malmustùs significa imbronciato ed è costruito da mal e da mustùs, termine a dire il vero un po’ scomparso che in dialetto bresciano sta per mostoso, succoso. E infatti l’opposto di malmustùs è chi invece mostra una bèla céra mustùsa, cioè delle guance (cara in spagnolo significa proprio faccia) sane e rilassate.
Parlare di volti ci ricorda che faccia in dialetto bresciano si può dire anche müs (è l’italiano muso, che però per noi bresciani non è sempre e solo brutto ma può anche diventare affettuosamente un bèl müs) o mostàs (riecheggia il termine moustache con cui i francesi indicano i baffi e rimanda addirittura a quel greco antico mustàkion, che significa faccia e a cui è legato l’italiano masticare).
Un mostasù c’è anche in città: un accigliato volto in pietra su un edificio di Contrada Cossere. La sua storia racconta che nel 1310 l’imperatore Arrigo VII, dopo aver espugnato la città, come segno di supremazia volle imporre a Brescia pesantissimi dazi e scalpellò il naso delle statue. Insomma: il Mostasù dèle Cossére aveva tutte le ragioni per essere musone. Proprio malmostoso come la Malström.
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