Quando l'ultimo genitore se ne va
Quando l’ultimo genitore se ne va, smetto di essere figlia, l’immenso si spalanca, il vuoto prende la forma del silenzio e una cappa fitta mi avvolge, portandosi via ogni mio pensiero. È allora che il «non essere» affiora e alla domanda: «Come stai?», mi accorgo di poter solo rispondere: «Non sto».
Ho dondolato a lungo sul ramo di un grande albero le radici del quale, all’improvviso, si sono capovolte per volare in cielo e abbeverarsi alla fonte della nuova vita mentre io, caduta a terra, osservo basita le fronde chinarsi amorevolmente su di me, ad accarezzarmi il cuore. Eppure mia madre non era il punto di riferimento della mia vita, almeno non a livello conscio, e lo stesso vale per mio padre mancato quasi trent’anni fa ma, in questi giorni, affiora un disorientamento interiore che mi fa sentire una bussola incapace di ritrovare il Nord. Sono forse i genitori i punti cardinali della nostra vita? È la loro presenza che orienta la nostra bussola?
Aveva 92 anni mia madre quando lo scorso 1 agosto ha smesso di respirare e le prime parole che mi sono sentita dire sono state che, in fin dei conti, era una buona età per morire, che non tutti hanno la fortuna di vivere indipendenti fino all’ultimo e che, quindi, andava bene così. Tutto vero e logico ma, analogicamente parlando, se chi se ne è andato è il Nord, quel che andrebbe detto non ha nulla a che vedere con l’età, ma con la dimensione nuova che costringe chi resta a riordinare i riferimenti della propria vita, ricollocando ogni presenza in modo diverso.
Ecco allora che non si tratta di imparare a convivere con uno spazio vuoto, ma di trovare - da un lato un nuovo posto dentro di sé per continuare a condividere alcuni momenti con chi non c’è più, - dall’altro la consapevolezza che, in realtà, c’è un Nord ben più grande che non vacilla mai. Ringrazio il disorientamento di questi giorni perché mi sta regalando il silenzio profondo, quello che mi avvolge nel sonno e nella veglia e che mi porta a ricercare la solitudine non come isolamento, ma come sospensione di vita in grado di traghettarmi oltre la nebbia che ovatta il mio sentire.
Lentamente mi arrendo. È allora che la presenza del Tutto colma l’illusione della separazione e sperimento che nessuno può essere separato da nessuno, perché tutto vive e tutto è Uno. Da sempre e per sempre. I genitori mi hanno donato la vita affinché io, vivendo, potessi ricordarmi chi sono, riconnettermi con la mia essenza divina e veleggiare verso l’eterno Nord. Quando l’ultimo genitore se ne va, so che la prossima sarò io; da qui a quel giorno avrò preziosi minuti per onorare il mio vivere su questo pianeta e recuperarne il significato autentico, quello che smarrisco nei teatrini quotidiani delle umane miserie, ma l’unico in grado di donarmi la pienezza della resa incondizionate alla dolcezza dell’abbraccio Paterno.
C’è così tanto amore! È ovunque io posi lo sguardo: nelle nuvolette che sbuffano in cielo, nel cigno che plana maestoso sull’acqua, nel pesco carico di frutti, nel cuore che mi sostiene in questo misterioso viaggio attraverso le paludi e le meraviglie dell’esistenza. Quando l’ultimo genitore se ne va, il mondo intero sembra zittirsi per rispecchiare il mio silenzio profondo e lasciar affiorare la prima parola di un nuovo capitolo: «Grazie».
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