«Quando a scuola dovevamo fare il saluto al duce»
Il ricordo è ancora vivo, nella mente e negli occhi di quello che allora era soltanto un ragazzino, terrorizzato dai fischi e boati che sentiva sopra la testa. Erano gli anni della guerra, della «Brescia sotto le bombe», tema della mostra storica realizzata due anni fa a partire dalle testimonianze dei cittadini che quegli eventi drammatici li hanno vissuti davvero. Là ci eravamo lasciati, ma l’attuale scandaglio della memoria, che riporta a «I giovani sotto il fascismo» appare totalmente in continuità.
È Cesare Frigerio, classe 1932, a raccontarsi per il Collectionday 2020 al nostro giornale, dove ben 12 sono stati i partecipanti solo nella prima giornata, e a riannodare idealmente il filo con la precedente esperienza: ad accoglierlo sono il professor Roberto Chiarini e la professoressa Elena Pala, promotori del progetto organizzato dal Centro studi Rsi di Salò. Frigerio viveva in via Solferino e, proprio sotto l’attuale sede del GdB, aveva trovato riparo in un rifugio sotterraneo. «La mia casa nel ’45 venne bombardata - rievoca, mostrando la grande foto che lo ritrae bambino con i compagni della quinta elementare -. Fummo sfollati e tornammo nel ’46: non avevo più la mia abitazione, ma riuscimmo a trovarne un’altra poco lontano, in via Lattanzio Gambara». In classe, all’inizio della lezione, «ci facevano fare il saluto al duce» e il sabato mattina bisognava andare in divisa: «Ci facevano fare ginnastica, dovevamo cantare "Giovinezza" e altri inni del regime».
Il signor Cesare ha risposto all’invito, rivolto a chi possiede documenti e reperti su bambini e ragazzi vissuti durante il Ventennio, affinché li condividano e possano farli diventare dei «pezzi da museo», che entreranno a far parte dell’esposizione a palazzo Martinengo, dal 2 al 22 novembre prossimo. Il ricordo del settantaseienne Severo Calzoni è legato soprattutto al nonno Pietro, «primo podestà di Brescia, dal ’26 al ’32». Come testimonianza reca con sé due ricchi album di foto dell’epoca: in uno, sfilano le istantanee in bianco e nero della «Colonia elioterapica del Cidneo». «Col nonno ci trasferimmo a Gussago quando, dopo la caduta del fascismo, era stato messo un po’ in disparte. Era un libero professionista, di famiglia possidente, e aveva promosso diverse costruzioni, anche in piazza Vittoria; era anche amico di Turati, il segretario del PNF. Ma - precisa Severo - era un fascista moderato, non è mai stato un gerarca».
L’ing. Andrea Piovani può dire di averne viste davvero tante: è nato nel 1924 e «sono arrivato ad avere 96 anni - esordisce -; ho fatto l’ingegnere per tutta la vita, ho costruito anche in questa zona». Al giornale si è presentato, accompagnato dalla figlia, con una foto in mano: ci sono lui e i suoi fratelli, in una bella immagine d’epoca. «Mio padre - racconta - era ispettore scolastico della Valcamonica e la mamma faceva la maestra. Abitavamo in Borgo Trento, e lì ho fatto le scuole elementari. Allora era una strada pedonale, si andava con gli schettini e si correva nei prati». E di sabato, «avevamo la riunione dei giovani Balilla: ci facevano marciare, andare a piedi in Maddalena. Indossavamo la camicia nera, i calzoni sopra il ginocchio e in testa il fez, il cappellino con le frange laterali». Per gli adolescenti dell’era mussoliniana i ricordi più vividi sono certo ancorati alle giornate scolastiche, che Giuliano Richiedei non ha personalmente vissuto, ma che dipana attraverso le pagelle del papà Sergio, oggi ottantaseienne, storico sindaco (per trent’anni) del Comune di Pezzaze. «Mi ha detto - riferisce Giuliano - che allora a scuola c’erano molto ordine e molta severità da parte dei maestri». Come non credergli, guardando le copertine delle sue schede perfettamente conservate, dove accanto alle tipiche iconografie del fascio littorio campeggia, imperiosa, la scritta «Ministero dell’Educazione nazionale».
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