Quando a Brescia si comprava il pane con la tessera
Addio alle tessere per comperare il pane e la pasta. Basta razionamento, acquisto libero da parte dei consumatori. È il segnale concreto che l’emergenza alimentare è alle spalle: finalmente la produzione di grano e farina può soddisfare le necessità.
Lunedì 4 luglio 1949, il Giornale di Brescia, in prima pagina, può comunicare la buona notizia ai bresciani, a partire dal primo agosto. Nei quattro anni precedenti la popolazione ha dovuto tirare la cinghia e munirsi periodicamente della famigerata tessera nell’apposito Ufficio controllo.
Bisogna districarsi tra i vari tagliandini destinati ai diversi generi. L’Ufficio provvede alla città e alla provincia. L’11 dicembre 1948, ad esempio, il GdB informa che a Brescia sono in distribuzione i buoni per lo zucchero, mentre è stata avviata la spedizione nel territorio provinciale.
Si ha diritto ad un chilo di zucchero al mese, che al dettaglio costa 290 lire. Una bella cifra, visto che lo stipendio mensile di un operaio è intorno alle 13mila lire (una copia del Giornale di Brescia si vende a 15 lire). Un chilo di pane vale 140 lire, di pasta 270.
I senza lavoro sono migliaia. L’assistenza pubblica e la generosità privata devono compiere sforzi titanici per lenire la situazione. Il 10 gennaio 1948 il giornale pubblica un appello del vescovo, mons. Giacinto Tredici, per la sottoscrizione nazionale pro disoccupati lanciata dalla Confederazione generale del lavoro e appoggiata dal Governo.
È dovere di ogni cristiano, scrive il vescovo, dare in proporzione alle sue possibilità. I parroci e l’Azione Cattolica si mobilitano. Ma è un concorso generale. I lavoratori occupati, ad esempio, partecipano destinando al fondo il compenso di mezza giornata. Si raccolgono svariati milioni, inviati a Roma che poi provvede alle redistribuzione nelle province. Un giro che le autorità di Brescia non apprezzano: fanno sapere al Governo che meglio sarebbe lasciare direttamente le risorse sul posto. Per erogare i sussidi, ma soprattutto promuovere opere pubbliche in grado di creare lavoro.
A Brescia viene costituito anche un Comitato esecutivo per il soccorso invernale alle famiglie indigenti (tante), delegato per la città e la provincia. Il 22 marzo 1949 il GdB pubblica la destinazione degli aiuti: niente soldi (frutto di offerte e contributi governativi), ma derrate alimentari. Quindici chili di pane per ogni capofamiglia e sette chili per ogni persona a carico. Altri fondi saranno accantonati per pagare i canoni di affitto, gas, luce, acqua di famiglie particolarmente bisognose.
Nel dicembre dello stesso anno il sindaco Bruno Boni fa sapere che l’Eca (Ente camunale di assistenza) ha in carico 3.600 nuclei familiari per un totale di 13mila persone. Cinquemila, inoltre, le richieste presentate dai disoccupati per ottenere un aiuto in sussidi, vestiti, viveri, pagamento delle utenze.
Non solo cattive notizie, comunque. il 23 ottobre 1949 il GdB annuncia la fine dei restauri a Palazzo Broletto, danneggiato dalle bombe. A proposito di monumenti, nell’ottobre 1948 da piazza Vittoria viene rimossa la «tinozza», com’è spregiativamente chiamata la fontana da tre anni rimasta orfana del Bigio. Un’opera orrenda, di ostacolo al traffico ha scritto il giornale nel luglio 1947, chiedendo la sua rimozione. Decisa dal Consiglio comunale il 20 settembre 1948.
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