Processo Ubi, la difesa: «Consob e Banca d'Italia sapevano tutto»
Consob e Banca d'Italia sapevano tutto. Non è mai esistito un patto occulto per spartirsi la gestione di Ubi Banca all'insaputa dell'azionariato e del mercato. La banca nata dalla fusione della Popolare di Bergamo e di Banca Lombarda non era etero diretta. A sostenere che le accuse siano infondate sono i difensori degli undici tra amministratori e soci di Ubi Banca che, dopo essere usciti indenni da quello di primo grado, stanno affrontando il processo d'appello e l'accusa di ostacolo alle funzione di vigilanza e di interferenza illecita dell'assemblea.
Gli avvocati di Emilio Zanetti (presidente del consiglio di gestione di Ubi fino all’aprile del 2013), di Giuseppe Calvi, di Andrea Moltrasio (ex presidente del Consiglio di sorveglianza), di Mario Mazzoleni (componente del Comitato nomine) e di Armando Santus hanno ricordato che Bankitalia, presunta vittima dell'ostacolo, non solo non si è costituita parte civile nel processo, ma aveva a suo tempo avuto modo di apprezzare le operazioni di fusione condotte dai vertici di Banca popolare di Bergamo e Banca Lombarda.
I difensori hanno inoltre evidenziato che le ispezioni di Consob si conclusero con nulla di fatto e che dalla lettura degli atti - a differenza di quanto sostiene il sostituto pg Paolo Mandurino, che ha chiesto condanne a pene tra due anni e due mesi e tre anni e sei mesi - emerge l'insussistenza di quel board occulto che sarebbe stato in grado di decidere vita e morte della neonata banca. Il processo è stato aggiornato a venerdì 3 marzo, in quell'occasione la parola toccherà ai difensori degli altri imputati. Ancora da fissare la data della camera di consiglio dalla quale uscirà la sentenza.
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