Primarie Pd, anche a Brescia si rovescia il giudizio degli iscritti

Gli strateghi più accaniti dentro le sedi non ci sono neppure entrati. Se ne stavano fuori, a osservare il piglio di chi varcava la soglia per votare. Il target più attenzionato era uno in particolare: la signora col barboncino. Discussioni a margine: «Questa, per esempio, vota per il Bonaccia o per Elly?». Piccola unità di crisi, si spia dal vetro l’andamento della signora e, un po’, pure l’atteggiamento del barboncino. Discussione. Non si trova la quadra: il barboncino li nota, la signora no. Votano ed escono. Il crocchio di analisti sta ancora fuori, li seguono con lo sguardo. Nessuno ha il coraggio di chiedere niente, tutti restano della propria opinione (quattro a tre per Elly). C’è un fuori campo: un’ottava persona, con qualche anno in più d’esperienza, che osserva le sette che osservavano la signora col barboncino. Si avvicina e dice: «Ecco, questo qua è il primo problema che deve risolvere il Pd. Osservarsi a vicenda e non avere il coraggio di chiedere a chi dovrebbe votarci non solo cosa pensa, ma cosa vorrebbe da noi. Preferiamo non sentirla la risposta, così nessuno ha torto».
Attorno alle 21.30 si arriva all’epilogo (i sette strateghi sono incollati ai video: c’è in ballo una birra da offrire): Brescia ribalta l’orientamento espresso dagli iscritti nel primo turno di primarie, in linea con l’andamento nazionale. La segretaria designata dai bresciani è Elly Schlein.
Inedito
Il fatto vero è che per la primissima volta queste erano davvero le primarie dell’incognita: nessuno ci avrebbe scommesso più di una birra offerta perché i giochi erano effettivamente aperti, un unicum. E questo si rileggeva in modo esplicito nei seggi, dove - ieri, dalle 8 alle 20 - sono andati a votare in 18.320. E non c’erano le truppe cammellate. Il via vai era disegnato da molta di quella che un tempo era battezzata come «sinistra diffusa»: ex militanti di ogni micropartito, giovanissimi, civatiani, cigiellini, grillini di ritorno, ambientalisti, insegnanti democratiche, hipster e (appunto) signore col barboncino.La maggior parte di loro non aveva la tessera del Pd, ma alle primarie aperte a votare ci è andata. Il popolo di Schlein era stato catturato dai comizi in cui ha sciorinato un repertorio che li ha mandati in solluchero perché i suoi cavalli di battaglia compongono buona parte del quaderno dei rimpianti della sinistra. Tipo: abolire la Bossi-Fini, approvare lo ius soli, il Jobs Act è stato un errore e così via. Con la sua vittoria, Elly è la prima segretaria eletta sulla scia di un testacoda che ha rovesciato il giudizio degli iscritti. Un dato politico non da poco. A Brescia Elly ha vinto con 11.054 preferenze, il 60,71% dei consensi contro il 39,29% di Bonaccini.
Scenario
Finora le differenti anime del partito si sono accomodate nel grande interregno della compensazione, rappresentato dagli organismi dirigenti di governo. C’è sempre stato un posto per qualcuno, uno spicchio di potere da poter gestire anche quando le urne restituivano un verdetto diverso (la rappresentanza delle correnti ne è l’emblema). Una condizione che - nelle stanze delle sedi - viene ancora oggi definita con insofferenza come «il potere senza i voti» o, quantomeno, senza abbastanza voti. Finora le due anime del Pd (i liberal-riformisti, cresciuti nell’era della segreteria di Matteo Renzi, e i progressisti) hanno convissuto perché la forza centripeta del quadro politico consentiva loro di stare insieme (e in qualche modo, per arginare l’avanzata del centrodestra, forse le obbligava) per poter contare su un partito elettoralmente rilevante e, quindi, di potere. Oggi è chiara la posta in gioco: la linea politica e le alleanze di un partito che, dopo quasi dieci anni ininterrotti trascorsi al governo, sembra averle smarrite entrambe. Una linea più riformista, quella di Bonaccini, incarnazione di un’opposizione non pregiudiziale al governo e aperta alla collaborazione con il Terzo Polo di Renzi e Calenda. Alla quale Schlein contrappone una linea durissima contro la premier Meloni e intransigente nei confronti della destra, giocata di sponda con il M5s di Conte. E i «primaristi bresciani» hanno scelto il tratto più radicale.
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