«Premio Trebeschi», la quarta edizione del riconoscimento per il bene comune
La quarta edizione del «Premio Trebeschi, l’arte del bene comune» non è un premio qualsiasi. Perché Cesare Trebeschi non è stato un bresciano qualsiasi. Trebeschi è stato per la città di Brescia una figura fondamentale: politico, avvocato e sindaco di Brescia dal 1975 al 1985, in un periodo storico difficile. Ma soprattutto è stato un uomo concreto, con le idee chiare e una visione lungimirante.
Per questo il premio che porta il suo nome, voluto da Comune, Acque bresciane, Fondazione Asm e Fondazione Brescia Musei, offre agli studenti la possibilità di conoscere un uomo d’eccellenza e un’occasione formativa: «Trebeschi è stato sindaco in un periodo storico molto difficile e lo ha fatto egregiamente – ha detto il vicesindaco Federico Manzoni -. È davvero bello che anche i nostri giovani possano conoscere e imparare qualcosa dalle sue tematiche, a partire dalla città vivibile per tutti».
Il premio, al quale ci si può iscrivere fino al 30 ottobre, è aperto a tutti gli istituti superiori bresciani, ma quest’anno anche a quelli bergamaschi: il tema da sviluppare è «la città di tutti». «Le due novità di questa edizione sono la presenza del Comune di Brescia e la partecipazione estesa oltre provincia - ha spiegato Vanna Toninelli, responsabile dell’ufficio comunicazione Acque Bresciane -. Crediamo che per i giovani partecipare a questo premio sia un’occasione educativa».
Sostenibilità, non solo ambientale, anche nel senso di inclusività: «Siamo molto curiosi di vedere come gli studenti - ha continuato Toninelli - trasformeranno i nostri stimoli con creatività e modernità. Premieremo i migliori lavori con denaro, che le scuole potranno utilizzare per gli istituti, e con esperienze educative offerte da Fondazione Brescia Musei». Un modo efficace per ricordare una persona che del fare faceva la sua arma vincente: «Credo che papà avrebbe apprezzato molto, anzi lo starà sicuramente facendo anche adesso - ha detto Andrea Trebeschi -. Non era un uomo che amava stare sul piedistallo, preferiva la concretezza agli elogi. Lo abbiamo perso nella pandemia, senza nemmeno potergli fare il funerale. Ma forse a lui è piaciuto di più così».
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