Premio Bulloni 2023, per Emanuele Tonoli l’accoglienza è stile di vita
L’accoglienza e l’umanità come stile di vita. Ma guai a dire che sia tutta farina del suo sacco: «Tutto ciò che metto in pratica l’ho attinto da don Raffaele Licini». Parola di Emanuele Tonoli, colonna della cooperativa Ai Rucc e della comunità, e Premio Ordine degli Avvocati del Bulloni 2023.
Del riconoscimento ha appreso con grandissimo stupore: «Quando ho ricevuto la telefonata del Comune di Brescia che mi informava del Premio, non ci credevo. Non l’avevo nemmeno detto a mia moglie, che l’ha scoperto perché avevo lasciato il suo indirizzo di posta elettronica, dato che io non ne ho uno. Sono tornato a casa una sera - racconta - e l’ho trovata lì con tutti e quattro i miei figli: erano felicissimi». Pure lui, certo, anche se «io non sono mai da solo - dice -, sono solo il più vecchio della comunità. Con me ci sono gli operatori, i volontari, chi viene accolto».
Ne ha viste tante Tonoli. Ha visto in particolare l’universo della dipendenza evolversi e cambiare. A vent’anni ha lasciato il suo paese d’origine, Cellatica, per affrontare il servizio civile: «Un percorso che sentivo profondamente di voler compiere. Sono stato tra i primi trenta obiettori di coscienza della Caritas, erano i primi anni Ottanta, e quel percorso si è evoluto in altro». È stato destinato all’oratorio di Vobarno, dove ha incontrato don Raffaele Licini, affiancandolo nelle primissime esperienze di accoglienza e di recupero dei giovani tossicodipendenti: «Li accoglieva all’epoca in casa sua, cosa che in paese qualche dubbio l’aveva suscitato, anche se di fatto non è mai accaduto nulla.
In quei primi anni tutta la zona, tutto il Bresciano, viveva una vera epidemia causata dall’eroina. Poi abbiamo accolto anche persone con dipendenza da cocaina, considerata in quegli anni come la "droga dei ricchi", di facile gestione. E invece...». Adesso, «anche l’alcol. Non è tanto il tipo di dipendenza che cerchiamo di affrontare, quanto le dinamiche, le esperienze, le fatiche di questi giorni».
Nel 1989 è stata inaugurata la casa di via Ronchi 36, che ancora ospita la comunità: «Una comunità terapeutica maschile piccolina - spiega Tonoli -, giusto dodici posti. Che è poi il nostro punto di forza: il gruppo ristretto consente una maggiore vicinanza alle persone, il rapporto che si viene a creare è uno strumento di aiuto insieme alle attività che svolgiamo». Attività agricole, con mucche, cavalli e maiali, esperienze in malga, senza tralasciare lo spirito.Negli anni, circa 300 persone sono passate di lì ed Emanuele Tonoli lì c’è sempre stato. Una colonna della comunità - si legge nella nota che lo presenta -, per la sua forza fisica che ne fa quasi un gigante buono ("sono un tappo in confronto ai miei figli"), per la sua enorme capacità di lavoro ("in comunità ne riderebbero: non ho più la forza di una volta"), ma soprattutto per la sua infinita, umanissima capacità di accoglienza»: «Sì - dice lui -, su questo si cerca sempre di lavorare. L’ho imparato da don Raffaele, quasi fosse uno stile di vita fatto di umanità e di attenzione all’altro».
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