Piccoli pazienti «star» dei cartoni animati in corsia
Los Angeles ha la magica notte degli Oscar. Brescia invece riceve un pizzico di magia dai suoi registi speciali: i pazienti tra i 4 e 17 anni dell’Ospedale dei Bambini di Brescia, protagonisti di un progetto dedicato alla loro fantasia. Torna così il progetto «Cartoni animati in corsia», che quest’anno soffia sette candeline. Vincenzo Beschi, presidente dell’associazione Avisco curatrice del progetto, vuole realizzare un sogno dei bambini: essere i creatori di un cartone animato.
Ma i bambini sono d’accordo? Alla proiezione avvenuta nella sala Cicci, dono della Fondazione onlus Emanuela Quilleri, erano pochi i piccoli che hanno rivisto i film da loro realizzati, non potendo lasciare le stanze per motivi di salute. Marua, di undici anni, c’era e fieramente ha presentato i suoi lavori nel corto «i Pezzetti».
Per un pomeriggio i più piccoli si sono fatti ispirare dall’immaginazione, dalle creazioni animate con la carta, le matite, il pongo, i giocattoli e tutto quello che la creatività può trasformare in un poetico corto d’animazione. Compreso il corto «Che bel maià», in slang bresciano, che ha fatto ridere anche i genitori. Se durante la realizzazione dei film i bambini non potevano usare le mani, allora hanno usato la voce. Se non riuscivano a dare la loro voce, allora hanno regalato le loro visioni agli operatori esperti. Erano otto i film realizzati da 109 giovani animatori, più due corti creati in collaborazione con Bfm e Open frames.
Grazie ai loro lavori, tutti hanno potuto vedere che è possibile volare, anche solo per una volta, fuori dal contesto ospedaliero. A presenziare alla proiezione dei cartoni animati, c’erano alcuni tra i dirigenti dell’Ospedale Civile, tra cui il direttore generale Marco Trivelli, Mauro Ricca, Camillo Rossi e Rossana Gardoni. Proprio Trivelli ha confessato: «Anche a me sarebbe piaciuto realizzare un cartone animato da bambino. Trovo educativo e utile che i nostri piccoli abbiano potuto usare il loro tempo libero durante la degenza per creare qualcosa di veramente loro. L’ospedale spero sempre che sia un posto di vita».
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