Piano regionale rifiuti: tutelare spazi naturali, ma no addio agli inceneritori
L’obiettivo della Lombardia è ambizioso: raggiungere il livello «discarica zero». Ma se per i rifiuti urbani la meta sembra ormai a un passo - complice l’impennata della raccolta differenziata, che a livello regionale ha raggiunto il 73,3% soprattutto grazie al porta a porta, con il 54,9% di riciclo - per quanto riguarda i rifiuti speciali (alias: quelli industriali) la strada da percorrere, dati alla mano, è decisamente ancora lunga. E sarà proprio questa - specie per un territorio che racchiude province così caratterizzate dalla produzione, a partire da Brescia - la vera partita e sfida da vincere nei prossimi anni.
Obiettivi e intenti sono scritti nel nuovo «Piano regionale rifiuti e bonifiche» firmato dall’assessore regionale all’Ambiente Raffaele Cattaneo e approvato ieri dalla Giunta. Un documento che racchiude l’architettura programmatica e gli indirizzi politici su prevenzione, riciclo, recupero, smaltimento rifiuti e gestione dei siti inquinati da bonificare e che chiarisce innanzitutto due punti. Il primo: ci sono zone che vanno tutelate e messe al sicuro dall’arrivo di nuovi impianti di stoccaggio. Il secondo: per ora, nessun inceneritore lombardo sarà dismesso.Rifiuti speciali
Capitolo primo: la questione rifiuti speciali. Per spiegare quanto «pesa» in Lombardia, bisogna partire dai dati: complessivamente gli scarti industriali rappresentano circa l’87% della produzione totale regionale. Tradotto in cifre (stando al report fornito dalla Regione) significa che ne sono stati prodotti «in casa» quasi 33 milioni di tonnellate: di queste, il 92% è costituito da rifiuti non pericolosi. Ma dove finiscono? L’81% viene riutilizzato come materia, il 3% viene impiegato per recuperare energia, mentre il restante 16% viene smaltito.
Di quest’ultima percentuale, il 14,5% dei rifiuti speciali prodotti in Lombardia viene inviato fuori Regione. Ma, contemporaneamente, la rete impiantistica gestisce anche le scorie provenienti da fuori Regione (circa il 20%) e dall’estero (circa il 10%). «Si tratta di rifiuti che vengono prevalentemente utilizzati nella prospettiva dell’economia circolare, come materia prima seconda (metalli, legno) per nuove produzioni» si sottolinea nello studio. Fatto sta che tirata la riga, tra quelli accolti e quelli spediti fuori confine, gli impianti lombardi gestiscono 46 milioni di tonnellate di speciali, 39 milioni sottoposte ad operazioni di recupero. Ma 3,2 milioni di tonnellate di scarti industriali finiscono direttamente in discarica (dati 2019). Non certo poche.
Impianti
Capitolo secondo: fasce di salvaguardia e impianti. Cosa prevede il piano? In primis dei criteri precisi sia per la localizzazione di eventuali nuovi impianti sia per modificare gli attuali (specie se si tratta di ingrandirli), regole che valgono anche per i poli di stoccaggio. E poi si punta a tutelare gli spazi naturali, «proteggendoli» dalle discariche. Si tratta in particolare delle aree di connessione ecologica, prevedendo l’esclusione dei Corridoi regionali primari della rete ecologica regionale, ossia «degli elementi territoriali di collegamento delle aree prioritarie per la biodiversità».
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I termoutilizzatori
Per quanto riguarda invece gli impianti di trattamento dei rifiuti urbani, in questo momento la Lombardia è autosufficiente. L’87% del rifiuto urbano residuo (Rur) è cioè trattato all’interno della provincia di produzione «nel pieno rispetto del principio di prossimità». Il che porta la Regione a dire che non serve per ora realizzare nuovi Termoutilizzatori. Ma anche che «non c’è la necessità di imporre il decommissioning di quelli esistenti». Insomma, quelli ci sono restano: nessuna dismissione, neppure graduale, all’orizzonte. Anzi: «Gli impianti di incenerimento attualmente autorizzati al trattamento di rifiuto indifferenziato sono individuati come impianti del Piano» chiarisce la Lombardia.Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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