Piano Cave: meno siti più volumi

Corretto l’errore, nel nuovo dossier gli Ate passano da 53 a 38, rispetto al 2005 metri cubi ridotti del 35%
Il piano da 70 milioni del 2005 è stato scavato solo per metà - Foto © www.giornaledibrescia.it
Il piano da 70 milioni del 2005 è stato scavato solo per metà - Foto © www.giornaledibrescia.it
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La Provincia ci riprova. Corretto «l’errore materiale» che aveva sfalsato i numeri della proposta di novembre, ieri è stata pubblicata la versione corretta del nuovo Piano Cave. Un documento che non prevede nuovi siti estrattivi, ne elimina 15 e taglia del 35% i volumi da scavare nei prossimi dieci anni rispetto al vecchio piano del 2005.

«Se non un piano green, di certo una svolta rispetto al passato» spiega il vicepresidente della Provincia Guido Galperti. Cambia infatti «l’approccio», per esempio sulle riserve che diventano una stima dei volumi di sabbia e ghiai ancora presenti nella cava, senza alcun «effetto prenotativo» sugli sviluppi futuri, come se quell’ambito potesse «durare per sempre». Finito di scavare, l’Ate (Ambito territoriale estrattivo, vale a dire la cava) «deve essere recuperato ambientalmente e restituito alla comunità» spiega Galperti.

Il vecchio Piano del 2005 è scaduto da 6 anni. Prevedeva si scavassero 70,3 milioni di metri cubi di ghiaia ma a fine 2008 se ne erano estratti solo la metà. Segno di previsioni esagerate. Il nuovo Piano è ripartito da lì: l’Università di Brescia è stata incaricata di determinare il «fabbisogno» di inerti dei prossimi dieci anni, vale a dire quanta sabbia e ghiaia serviranno per l’edilizia, i lavori pubblici, le grandi opere, la manutenzione di scuole e strade.

La prima stima era di 46,7 milioni di metri cubi, 5,3 recuperati da fonti alternative, 41,4 dalle cave. A gennaio però, nel valutare le osservazioni, ci si è accorti di un «errore»: in sostanza il dato degli inerti utilizzati dal 2008 al 2017(arco temporale indicato dalla Regione per calcolare il fabbisogno) era sbagliato, cosa che ha fatto sottostimare i volumi necessari nel prossimo decennio.

Il calcolo è così stato rifatto. In teoria il tetto dei metri cubi da scavare sarebbe dovuto crescere di 8,1 milioni. In realtà si ferma a 46,2 milioni, visto che è stato rivisto al ribasso il fabbisogno per le grandi opere («difficile, ad esempio, che nei prossimi dieci anni si realizzi il prolungamento della metro»). Altri 5,3 milioni dovrebbero arrivare da fonti alternative, anche se finora dalle scorie non si è ottenuto nulla, precisa Galperti. «Ma ci lavoreremo». Alla fine il mondo delle costruzioni potrà contare su 51,8 milioni di metri cubi di inerti.

Rispetto al Piano 2005 le cave passano da 53 a 38: non confermati, ad esempio, gli Ate di Brescia e Chiari, Lonato, Borgosatollo e Palazzolo. Due ambiti, previsti a novembre, nella nuova proposta sono stati tolti, precisa Galperti: la cava di argilla di Gavardo, come chiesto dal Comune, e l’Ate 50 di Leno.

Accolte anche molte richieste dei sindaci: l’Ate 43 di Montichiari non sarà ampliato, la proprietà del laghetto degli aironi, a Travagliato, «dovrà passare al Comune» («questo almeno è l’indirizzo del Piano»). Nessuna cava in acqua e stop alle cave di prestito: per l’eventuale fabbisogno delle grandi opere si useranno i volumi del Piano. Per coprire il fabbisogno (crescente) rispetto alla versione di novembre, cresce il tetto dei volumi nelle 38 cave previste: Gottolengo, per esempio, passa da 690mila mc a 850mila, Castenedolo da 3,7 milioni di metri cubi a 4,49.

Da ieri tutta la documentazione del nuovo Piano è consultabile sul portale regionale della Valutazione d’Impatto Ambientale (Sivas). Si sono così riaperti i termini per le osservazioni, da presentare entro il 12 aprile. «Non ne aspettiamo tante, dopo le 93 già arrivate - spiega Galperti -. Difficile che questo piano possa cambiare ancora». Tra fine aprile e inizio maggio il dossier dovrebbe approdare in consiglio provinciale, per l’adozione. L’approvazione finale spetta invece alla Regione ed è attesa entro l’anno.

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