«Piamarta apostolo di carità e della gioventù»
È un santo «sociale», esponente del cattolicesimo ottocentesco, Giovanni Battista Piamarta, italiano tra i 7 santi da 5 continenti canonizzati domenica mattina da Benedetto XVI con una solenne celebrazione in piazza San Pietro.
Nell’omelia Benedetto XVI ha voluto rimarcare la esigenza, avvertita dal nuovo santo, sacerdote bresciano nato nel 1841 e morto nel 1913, di «una presenza culturale e sociale del cattolicesimo nel mondo» e ha ricordato l’azione di questo «grande apostolo della carità e della gioventù» che, ha detto, «si dedicò alla elevazione morale e professionale delle nuove generazioni con la sua illuminata carica di umanità e di bontà».
«Animato da fiducia incrollabile nella Divina Provvidenza e da profondo spirito di sacrificio, - ha detto papa Ratzinger a proposito di questo nuovo santo italiano - affrontò difficoltà e fatiche per dare vita a diverse opere apostoliche, tra le quali: l’Istituto degli Artigianelli, l’Editrice Queriniana, la Congregazione maschile della Santa Famiglia di Nazareth e la Congregazione delle Umili Serve del Signore». Per il Papa, il «segreto» del nuovo santo e della sua «intensa ed operosa vita sta nelle lunghe ore che egli dedicava alla preghiera. Quando era oberato di lavoro, - ha raccontato Benedetto XVI - aumentava il tempo per l’incontro, cuore a cuore, con il Signore».
Piamarta è stato un sacerdote colto e brillante che rinunciò a una promettente carriera ecclesiastica sfidando i superiori per difendere i suoi «artigianelli», cioè gli ospiti delle opere da lui dedicate alla gioventù bisognosa della Lombardia di fine ’800. Davanti ai gravi problemi economici delle sue case, il vescovo infatti ordinò a padre Giovanni Piamarta di rinunciare. Lui rispose che avrebbe preferito morire in mezzo ai suoi ragazzi piuttosto che
abbandonarli al loro destino.
Come il beato Lodovico Pavoni, che fu il suo maestro, don Piamarta era impegnato nella predicazione e l’editoria. Ma fu l’amore per i poveri e il suo impegno in difesa dei ragazzi a farlo davvero grande.
Padre Piamarta, che l’Osservatore romano ha definito «la personalità più popolare di Brescia a cavallo tra il 1800 e il 1900», era nato suddito dell’Austria, nel 1841, cioè fra il terribile colera del 1836 e le drammatiche dieci giornate del 1849, dunque fu testimone del passaggio della Lombardia alla nuova Italia, ed entrò in quel periodo in contatto con le grandi personalità del movimento cattolico bresciano, quali Giuseppe Tovini e Giorgio Montini (padre del futuro Paolo VI), che vedono nelle nuove situazioni non solo delle crisi, ma anche delle opportunità per la presenza cristiana.
Dopo aver dato inizio alla celebre colonia agricola di Remedello, constatando che la povertà più insidiosa è quella del sottosviluppo culturale, specie in materia religiosa, fondò anche l’Editrice Queriniana. Si racconta che a chi gli chiedeva quale fosse l’ispirazione
principale della propria famiglia religiosa, il sacerdote brescIano rispondesse: la carità. E aggiungesse di aver fatto suo il programma di sant’Agostino: «In dubiis libertas, in
necessariis unitas, in omnibus caritas». Lo spirito di famiglia - cioè - deve caratterizzare non solo la convivenza dei religiosi, ma anche lo stile dell’educazione.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato