Più di 70mila bresciani hanno il medico di famiglia provvisorio
Più di settantamila bresciani orfani di un medico di famiglia esclusivo, con la prospettiva di peggioramento nel prossimo triennio, quando circa trecento professionisti della salute appenderanno definitivamente il camice al chiodo. Per contro, i giovani formati saranno solo il 10% di coloro che termineranno il percorso professionale per raggiunti limiti di età. Il territorio, però, non è l’unico a soffrire.
Al Civile, uno dei principali ospedali pubblici lombardi, mancano gli anestesisti e si è in sofferenza in ostetricia e ginecologia, in pediatria e in neonatologia, mentre aumentano i problemi di personale nelle chirurgie e in oncologia. «Facciamo i salti mortali - conferma il direttore generale Ezio Belleri- perché alcuni specialisti proprio non li troviamo. Incentiviamo economicamente quelli che già ci sono affinché lavorino oltre le ore di contratto. Sì, è vero, in ospedale si formano gli specializzandi, importante bacino di specialisti futuri. Tuttavia, sono molto gettonati anche dai privati, che li opzionano ancora prima che finiscano la formazione, con «armi contrattuali» spesso più allettanti di quelle che offre il pubblico».
Certo, la situazione non è ancora ai livelli dell’ospedale di Oglio Po, nel cremonese, costretto a chiudere il reparto di ostetricia per mancanza di medici. Però, molti concorsi vanno deserti e gli specialisti formati non sono in numero sufficiente a coprire il fabbisogno, soprattutto in alcune aree critiche. Nessuno senza assistenza. Per i medici di famiglia, le Agenzie di tutela della Salute adottano soluzioni provvisorie, per garantirne la presenza negli ambiti territoriali vacanti.
In base all’ultima rilevazione di Regione Lombardia, sono vacanti 51 ambulatori solo nella nostra provincia. Nessuno rimane senza assistenza, grazie ad accorpamenti di sedi e incentivi per garantire il servizio nelle realtà più disagiate. Ma sono soluzioni tampone che non risolvono il problema, anche perché l’età media degli oltre 6.500 medici iscritti all’Ordine professionale bresciano è di 55 anni. Con un 10% del totale che andrà in pensione nell’arco di un anno.
Poi, però, ci sono anche situazioni «alla rovescia»: c’è il medico, ma non ci sono pazienti sufficienti, soprattutto di età tra gli zero e i sei anni. Questo accade per alcuni ambiti che dovrebbero essere ricoperti da pediatri di libera scelta. Dati controversi. «Un’indagine seria sul reale fabbisogno non è mai stata fatta - spiega Ottavio Di Stefano, presidente dell’Ordine dei medici chirurghi ed odontoiatri di Brescia -. Questo significa che, ciclicamente, vengono pubblicati dati solo in parte aderenti alla realtà. Insomma, non siamo allo sfacelo. Certo, però, la situazione deve essere analizzata puntualmente, tenendo conto che il tema vero non è la carenza di medici. Non solo, almeno. In realtà, si può avere un’idea precisa dei professionisti necessari solo uscendo dai vecchi schemi per ragionare sulle nuove prospettive che deve avere la sanità di oggi e del futuro». Cambiare modo di lavorare. Il presidente, al proposito, fa l’esempio dell’ospedale «pensato» dagli inglesi.
«Visto che in Lombardia siamo nel mezzo di una riorganizzazione dell’assistenza ai malati cronici che segna il passo, credo sia opportuno volgere lo sguardo altrove. Per gli inglesi, la soluzione è stata quella di creare un grande Dipartimento di medicina polipatologico, in cui lavorano medici internisti e geriatri che si relazionano con tutti gli altri specialisti, perché un paziente cronico ha bisogno di più figure. Così, diminuisce il fabbisogno di letti per le specialità».
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